Un articolo a firma di Silvia Gola comparso su Il Tascabile parla della narrazione diffusa dello scontro tra campagna e città, descrivendo la vita da cittadino e da provinciale e mettendole a confronto, opponendosi all’idea che va diffondendosi dei “borghi”, tentando di comprendere i motivi dello spopolamento e le richieste di chi vorrebbe continuare a vivere nel proprio luogo d’origine, che sia in città o in provincia.
L’Italia non è fatta né di metropoli né di borghi – nonostante ogni anno tantissime testate digitali e cartacee urlino le loro liste dei 100 borghi più belli d’Italia: no, la nostra Penisola è una ragnatela di posti brutti, desolanti e desolati. Posti intrisi di mediocritas ma non oraziana, spazi di grandezze variabili che li fanno essere a metà strada tra i borghi dalle mille-e-una Instagram opportunity e la patinata frenesia metropolitana. La Strategia nazionale per le aree interne, un’iniziativa lanciata nel 2012 dall’allora ministro alla Coesione territoriale, Fabrizio Barca, è stato un progetto politico che ha coinvolto 72 aree interne tra Nord, Sud e Isole. Quel pezzo di paese lontano dai servizi essenziali come scuola, sanità, reti di trasporto pubblico, che rimane distaccato, che della distanza si nutre ma non si alimenta. Non è un’area marginale – include oltre la metà dei comuni italiani e circa il 23% della popolazione nazionale, ovvero ben 13,5 milioni di persone – ma è marginalizzata.
Fra i molti contributi dell’articolo viene anche citato un articolo di Filippo Barbera sul Manifesto che parla di “Bruttitalia” per intendere quelle località mal collegate, spesso abbandonate o parzialmente degradate, in cui tuttavia tante persone, anche giovani, abitano e continuano a scegliere di abitare.
Eppure la domanda (retorica) che si fa Filippo Barbera: “Ma davvero c’è qualcuno che vuole restare nelle aree interne del Paese, tanto in quelle “belle” che in quelle “brutte”? Il potere attrattivo delle città non ha – sempre e comunque – la meglio?” io me la pongo seriamente, con frequenza settimanale. È solo essendo “contro i borghi” e contro la loro romanticizzazione che ci si può chiedere francamente come ripartire per un’azione pubblica di coesione territoriale basata su un’economia per le persone-nei-luoghi. Non a caso “Contro i borghi” è il quinto titolo del percorso editoriale di ricerc-azione che lega l’editore Donzelli all’associazione “Riabitare l’Italia”, per tornare a parlare dei paesi, della Bruttitalia, dei ‘nonostante’ da cui in molti decidono di partire. Quelli brutti, quelli solo provinciali, a tratti ‘borghizzabili’ da cui veniamo in molti e molte.
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.