Un articolo pubblicato su Internazionale, dopo un breve commento di Giuseppe Rizzo sulla situazione economico-sociale nel nostro Paese, propone una serie di drammatiche storie di povertà.
Negli ultimi anni sono aumentati anche i minori che vivono in situazioni di povertà. Save the children ha calcolato che il loro numero è triplicato: “Nel 2008 appena un minore su 25 (il 3,7 per cento) era in povertà assoluta, un decennio dopo si trova in questa condizione ben 1 su 8 (12,5 per cento). Sono numeri che spaventano: nel 2007 i minori in povertà assoluta erano circa mezzo milione, oggi sono 1,2 milioni”.
A chi pensa che questa situazione sia circoscritta, l’Oxfam ricorda che in Italia una persona su quattro è a rischio povertà. Il confine tra chi ce la fa e chi non ce la fa è molto più sottile di quanto si creda. Le statistiche aiutano a scattarne una fotografia, ma da sole non bastano a misurarlo, a coglierne le sfumature, a capire cosa significa scivolare, o precipitare, da una parte all’altra. Le storie di chi è stato in difficoltà, o lo è ancora, aiutano a farlo.
Nei loro racconti ci sono sempre dei momenti in cui si sente un rumore, come di qualcosa che va in frantumi: un lavoro, una famiglia, una speranza. Spesso le persone sono lasciate sole a raccogliere i cocci, qualche volta trovano un aiuto che riesce a farle rimettere in piedi. Il reddito di cittadinanza ha restituito a tanti un po’ di ossigeno, ma non ha abolito la povertà, come prevedeva con enfasi il governo italiano nel 2018. Piuttosto, ogni tanto decreti sicurezza, daspo urbani e sgomberi hanno provato ad abolire i poveri. Le storie di sette persone in cinque città diverse aiutano a capire quanto queste risposte possano essere riduttive, inefficaci, spesso pericolose. E aiutano a infrangere la retorica che li descrive come un tutt’uno, a volte criminalizzandoli, a volte trattandoli con paternalismo, a volte descrivendoli con un lirismo ingenuo.
Immagine da Wikimedia.
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