A cura di @NedCuttle21(Ulm).
Cosa succede dietro le quinte del popolare quiz televisivo L’eredità? Quali sono le fonti che gli autori consultano per la formulazione dei quiz? In cosa consistono le prove da superare per essere selezionati e cosa spinge i potenziali concorrenti a provarci? A queste domande prova a rispondere l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni in un articolo scritto per il Corriere della Sera dopo aver incontrato un gruppo di concorrenti, gli autori del programma e il conduttore, Flavio Insinna, presso gli studi televisivi in cui vengono registrate le puntate.
Ho osservato dall’interno «l’Eredità» con lo stesso sguardo con cui si sarebbero avvicinati al più longevo quiz della televisione italiana uomini come Furio Scarpelli, Age o Ettore Scola. Consapevoli della leggerezza dell’oggetto, ma rispettosi del suo consenso popolare e, in fondo, della sua grazia. Mi vengono in mente due frasi scritte da Age e Scarpelli. Una, con Scola, in «C’eravamo tanto amati», quando Giovanna Ralli dice a Gassman «Ho cominciato a leggere il libro che mi hai dato… ammazza che tosto…» e lui le risponde «Tosto… “I tre Moschettieri” di Dumas?». In «Straziami ma di baci saziami» — già dal titolo un omaggio alla cultura popolare — Nino Manfredi e Beba Loncar leggono, rapiti, i versi della canzone «L’immensità» sottolineando che contengono «gli stessi concetti espressi nella canzone “C’è una casa bianca che”». Quella generazione di intellettuali italiani era pop, senza saperlo. Aveva letto la grande letteratura popolare, si era abbeverata ai fumetti, aveva gustato cinema in sale piene di fumo e con le sedie di legno, e nei locali da ballo aveva scoperto il proibito jazz.
Immagine da pixnio.
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