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Il paradosso dei finanziamenti pubblici per grandi e piccoli editori

Il paradosso dei finanziamenti pubblici per grandi e piccoli editori

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Corriere Romagna, piccolo quotidiano edito da una cooperativa di giornalisti, in un editoriale spiega le differenti modalità del finanziamento statale ai giornali e di come questa cosa viene raccontata dai giornali medesimi.

Il primo modo sono i contributi  diretti

 regolamentati in maniera sempre più severa e stringente per garantire la massima trasparenza. I destinatari, a parte i giornali per le minoranze linguistiche in Italia o per gli italiani all’estero, sono giornali e siti internet editi da cooperative di giornalisti o enti morali (…) La ragione di questi contributi è semplice: garantire il pluralismo dell’informazione nel nostro Paese (…) E per questo motivo l’Unione europea ha stabilito che questi soldi non sono configurabili come aiuti di Stato (…) A questo mondo, composto da qualche centinaio di piccoli editori, va ogni anno una cifra complessiva tra gli 80 e i 90 milioni di euro

Il secondo è invece quello previsto dal «Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all’editoria» nato per far fronte alla crisi delle pandemia e dell’aumento dei costi energetici, di cui beneficiano i grandi editori.

Si chiama straordinario per affrontare crisi contingenti. Questo sì è un aiuto di Stato, e in quanto tale ha dovuto avere il via libera dell’Unione europea. Nel fondo sono stati messi 90 milioni di euro per il 2021 e ben 140 milioni di euro per il 2022. Servono a finanziare, sotto forma di credito di imposta, gli editori di giornali rimborsando loro ben il 30% dei costi sostenuti per la carta e per la distribuzione, e qualcosa in meno per le spese in innovazione digitale.

A livello di trasparenza gli obblighi sono diversi; i beneficiari dei contributi diretti devono scrivere sul proprio giornale e sul proprio sito internet quanti soldi ricevono,  invece gli editori che incassano milioni dal Fondo straordinario, , possono scriverlo solo nelle pieghe dei propri bilanci o addirittura negarlo pubblicamente. Questo ha portato a un risultato paradossale:

In pochi anni il nostro Paese è passato dal furore paranoico di cancellare ogni tipo di sostegno ai piccoli e medio-grandi giornali no profit (cooperative di giornalisti ed enti morali) al furore opposto di erogare ingenti risorse pubbliche, senza alcun controllo sul loro utilizzo, a quelli che un tempo la politica mainstream chiamava enfaticamente “giornaloni”, ovvero quotidiani e periodici della famiglia Agnelli-Elkann, della Rcs e di Urbano Cairo, della famiglia Caltagirone o di Confindustria, solo per citare qualche nome.

Questo ad oggi, ma la situazione è in evoluzione: il fondo per il pluralismo destinato ai contributi diretti è sempre in sospeso per via di una norma approvata nel 2019 (e sempre rimandata); il previsto taglio al canone RAI potrebbe indirettamente danneggiarlo.  Invece il Fondo Straordinario in teoria dovrebbe cessare già dal prossimo anno, ma la Federazione degli Editori si sta muovendo per mantenerlo (in particolre la Fieg si lamenta che la sforbiciata prevista danneggerebbe «il passaggio al digitale»). Sia i piccoli editori che i grossi gruppi finanziari sono attualmente in trattativa col Governo.


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