Nei giorni scorsi le istituzioni europee si sono trovate nella scomoda e controintuitiva posizione di dover difendere e attaccare l’azienda farmaceutica AstraZeneca nello stesso esatto momento.
Hanno dovuto difenderla perché, come sapete, la decisione di alcuni governi nazionali di sospendere la somministrazione del suo vaccino dopo alcuni casi di rarissimi problemi circolatori (trombosi cerebrale) ha generato un effetto domino che ha richiesto l’intervento di EMA, l’Agenzia europea del farmaco. Alla fine i casi sospetti sono stati 18 su circa 20 milioni di somministrazioni del vaccino e EMA ha concluso che «un nesso causale con la vaccinazione non è stato provato, anche se è possibile». Una sospensione prolungata avrebbe messo in crisi la campagna vaccinale in tutta Europa, e probabilmente avrebbe comportato un nuovo danno d’immagine per le istituzioni, che per le ragioni che abbiamo spiegato nel penultimo numero – legittime e comprensibili – avevano puntato moltissimo sul vaccino sviluppato da AstraZeneca.
Certo, non sarà così facile rimettere il dentifricio all’interno del tubetto. Alcuni paesi come Svezia e Danimarca hanno deciso autonomamente di estendere la sospensione di AstraZeneca per eccesso di precauzione, mentre i primi sondaggi compiuti dopo le vicende di questa settimana mostrano che gli europei hanno perso moltissima fiducia nel vaccino dell’azienda britannico-svedese: e già non era altissima, come aveva suggerito un dettagliato rapporto di YouGov pubblicato a inizio marzo.
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