Da dove viene la convinzione che il vino possa essere utilizzato come farmaco? La divulgatrice Alessandra Biondi Bartolini ricostruisce su Il Tascabile la storia e il mito del vino come millenario elisir.
In quasi tutte le culture indoeuropee esistono tracce dell’utilizzo del vino come medicamento, a.e. per trattare le ferite; sono però Ippocrate e poi Galeno, padri fondatori della medicina Occidentale, a codificare per la prima volta l’utilizzo delle diverse varietà del vino, descritte per caratteristiche ed effetti.
Per Galeno, che riprende la teoria degli umori di Ippocrate, il vino è in grado di opporsi alla corruzione degli umori restituendo l’armonia e di intervenire nella formazione del sangue. I vini leggeri hanno azioni e proprietà specifiche diverse da quelli dolci e densi e di conseguenza ognuno, descritto per le sue caratteristiche e la sua provenienza, trova applicazioni e prescrizioni anch’esse diverse. I testi di Galeno basati su teorie e fondamenti anatomici e fisiologici che oggi sappiamo errati, continuano a essere tradotti e tramandati per secoli e le sue teorie e rimedi assumono nella medicina occidentale un carattere quasi dogmatico fino e oltre il 1500.
Ma il mito del vino in quanto medicina resterà forte anche nei secoli successivi, mentre parallelamente si diffonde una nuova consapevolezza sugli effetti del consumo di alcolici
L’uso igienico e la raccomandazione di bere alcolici puri o diluiti anziché acqua, rappresenta del resto in molti paesi e fino a secoli molto più recenti un’azione frequente per la prevenzione della diffusione delle epidemie da fonti inquinate. È a questo soprattutto che si riferiva Louis Pasteur, padre della microbiologia, quando definiva il vino “la più igienica di tutte le bevande”, coniando uno dei motti di maggior successo per l’intero settore.
I termini di alcolismo e alcolista vengono usate per la prima volta nel 1849 da un medico svedese di nome Magnus Huss che descrive e distingue gli effetti dell’ubriachezza acuta dalla dipendenza cronica. È solo da allora che gli alcolisti diventano malati e nasce la necessità di curarli, a volte come alienati o degenerati con l’internamento e l’applicazione di metodi e terapie molto discutibili e comuni ai diversi casi di “follia o degenerazione”. È nello stesso periodo, intorno alla fine dell’Ottocento e in quello stesso clima di attriti sociali, che nascono anche lo stigma per la degenerazione e il giudizio morale per l’abuso e per il consumo di alcolici.
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