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Facebook protegge la libertà di espressione di Trump, ma non quella di attivisti e giornalisti palestinesi, siriani e tunisini

Facebook protegge la libertà di espressione di Trump, ma non quella di attivisti e giornalisti palestinesi, siriani e tunisini

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Quando il mese scorso il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha implicitamente suggerito di aprire il fuoco contro i manifestanti per fermare i saccheggi (citando la frase usata dalle forze dell’ordine segregazioniste negli anni Sessanta “When the looting starts, the shooting starts“), durante le proteste per la morte di George Floyd, Facebook decise di non intervenire in alcun modo, nonostante quel post violasse le policy del social network in materia di incitazione all’odio e alla violenza. La decisione di non intervenire ha suscitato polemiche, anche all’interno dell’impresa, ed è stata motivata da Mark Zuckerberg come parte dell’impegno di Facebook per difendere la libertà di parola.

A quanto pare, però, gli stessi standard non sono garantiti ad attivisti e giornalisti tunisini, siriani, palestinesi, o di altre parti del mondo, che utilizzano la piattaforma per documentare le violazioni dei diritti umani nei loro paesi. Molti dei loro account sono stati disattivati nelle ultime settimane, secondo un’inchiesta pubblicata sul sito della NBC.

Ne parla Valigia Blu.


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