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Frammenti di un Euripide frammentato

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Se Elena – ne parla anche Euripide stesso in un dramma – è rimasta nascosta per anni in Egitto, lo stesso si può dire per questo papiro del più importante, e più attestato, tragediografo dell’Atene classica.
Detestato dai concittadini quand’era in vita tanto da andarsene arrabbiato dal re di Macedonia, dopo la morte divenne sicuramente il drammaturgo più letto, come attestano non solo il gran numero di papiri ritrovati che conservano la sua opera (vedi P. Carrara, Il testo di Euripide nell’antichità. Ricerche sulla tradizione testuale euripidea antica, 2008), ma anche il fatto che siano sopravvissuti completi molti più drammi di Euripide che quelli di Eschilo e Sofocle messi insieme.

Il Center for Hellenic Studies dedica in queste pagine molto spazio a questo papiro, dal nome P. Phil. Nec. 23, sotto ogni aspetto: la sua edizione è in fase di stampa presso lo Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 2024: Trnka-Amrhein, Y. – Gehad, B. – Gibert, J., P. Phil. Nec. 23 ↑: New Excerpts from Euripides’ Ino and Polyidos

Nell’articolo del CHS si possono trovare dei brevi cenni al papiro  e al contesto di ritrovamento, con anche un breve racconto delle storie di Poliido e Ino. Vedremo perché proprio loro due.

Il papiro è stato rinvenuto nel 2016 nella necropoli di Philadelphia in Egitto, città fondata dai Tolemei che divenne poi uno dei principali centri urbani fino all’epoca di dominazione romana. Nella stessa città – ne parla anche il CHS – è stato ritrovato anche l’archivio di tale Zenone, che svolgeva per Tolomeo Filaldelfo incarichi legati all’amministrazione e all’urbanistica della città, oltre a gestire le attività private di Apollonio, ministro di Tolemeo.

Il papiro però è molto più tardo, viene datato tra il II e il III d.C. (a pensarci dista più di 600 anni da Euripide). Il frammento rimasto conserva due colonne comprendenti escerti dall’Ino e dal Poliido, due tragedie euripidee perdute ma di cui conosciamo i titoli grazie alla tradizione indiretta, ossia da altri testi che parlano delle opere di Euripide come opere di critica letteraria, commentari o antologie, o semplicemente altri autori che ne parlano. Sia una tragedia che l’altra sono state recentemente oggetto di studi, quindi erano già ben note a chi studia l’argomento.

Non si tratta, purtroppo o per fortuna (dipende dal punto di vista di chi studia), di frammenti dei drammi stessi, ma di una selezione di passi tratti dalle due tragedie. Una specie di antologia o di silloge dei versi che erano considerati più belli o più significativi, secondo criteri generalmente estetici o anche morali, operazione utile per l’insegnamento retorico. Tale operazione era già molto comune nell’antichità, il che a volte fa dubitare dell’effettiva conservazione delle opere intere rispetto a una loro circolazione in forma antologizzata. Gli gnomologi euripidei, ovvero appunto delle selezioni di versi particolarmente edificanti, erano diffusissimi nel medioevo greco e in effetti potrebbero trovare origine molto più in antichità. Qui uno gnomologio di Euripide, il Vaticanus Barberinianus Graecus 4.

Nell’articolo del CHS si possono leggere alcuni pre-print resi disponibili dagli studiosi che si stanno occupando del papiro. Coprono vari aspetti, dalla ricostruzione del testo alla sua circolazione, scopi e ambiente di produzione. Si trova anche un repertorio di congetture per i più coraggiosi.

L’importanza del papiro di Filadelfia quindi sta sia nel riportare dei versi finora ignoti, sia nell’operazione editoriale che esso rappresenta. Al di là quindi di una nuova porzione di testo, il nuovo frammento può gettare luce anche su come Euripide venisse letto in età imperiale in Egitto (così abbiamo pensato anche oggi all’impero romano).

Come la grandissima parte degli autori antichi, anche delle opere di Euripide ad un certo punto in epoca tardoantica è stata fatta una selezione. Come ciò sia avvenuto è una questione complessa, ma in genere si tende a pensare che abbia a che fare con la prassi scolastica, anche se l’idea che tale selezione sia dovuta a una sola figura autorevole, come pensava Wilamowitz, ora non trova molta accoglienza. Di Euripide furono scelte sette tragedie (Ecuba, Oreste, Fenicie, Ippolito, Medea, Andromaca e Alcesti) o forse nove se si aggiungono le Baccanti e le Troiane, che però sono tramandate da un unico codice. Ma con Euripide abbiamo avuto fortuna! Altri dieci drammi si sono salvati in un modo assai singolare e sono stati ritrovati a Tessalonica a inizio ‘300 da Demetrio Triclinio e suo fratello Nicola (e un collaboratore ignoto…) che li hanno trascritti. La particolarità di questi drammi è che iniziano tutti con le lettere che vanno da E a I, quindi sono ciò che rimane di una sezione dell’opera omnia del tragediografo ordinata alfabeticamente in quella che doveva essere un’edizione – si pensa – tardoantica. Eschilo e Sofocle non sono stati così fortunati, ma questo probabilmente perché Euripide era letto di più – integralmente o tramite escerti come in questo papiro – almeno dall’epoca ellenistica.

Un’ultima curiosità per il lettore: il testo di Euripide nei manoscritti medievali non ci è arrivato sempre da solo, ma spesso accompagnato da dei commenti (chiamati scholia) puntuali ai versi, e che risalgono all’attività erudita alessandrina (soprattutto Aristofane di Bisanzio, Callistrato e in ultimo Didimo ‘budella di bronzo’). È da essi che possiamo ricavare quanto sappiamo delle opinioni degli antichi sull’autore e sulla sua attività poetica, vita e vicissitudini. D.J. Mastronarde ne sta facendo un’edizione online (solo però quelli all’Oreste) su Euripidesscholia. Ci sono anche i link alle riproduzioni di manoscritti e papiri.

 


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