Jonathan Zenti discute su Il Tascabile una delle trasmissioni più popolari di Rai Tre, Storie Maledette. L’autore sostiene che il programma, puntando negli anni in misura sempre maggiore sulla performance della conduttrice – nonché ideatrice dello stesso – Franca Leosini, e ponendo quindi progressivamente quasi in secondo piano la dimensione umana dei casi giudiziari trattati nel corso delle puntate, abbia perso nel tempo valore sia dal punto di vista culturale che da quello prettamente giornalistico.
Nella cultura popolare italiana, gli ammiratori di Franca Leosini e del suo programma Rai3, Storie Maledette, sono un fenomeno unico nella forma e nel volume. Treccani, nel luglio del 2019, ha inserito il termine Leosiner come neologismo nel proprio vocabolario: “Chi sostiene con entusiasmo la giornalista Franca Leosini”. Una caratteristica dei Leosiner è l’ampiezza dello spettro delle loro età e identità sociali, ma il loro sostegno fanatico per Storie Maledette si regge su un solo pilastro: lei, Franca, con il suo linguaggio barocco, le sue incursioni cattoliche nel sordido.
Insomma, la notorietà di Leosini oggi sembra quasi esclusivamente una questione di folklore contemporaneo, di meme sul suo portamento elegante e il vocabolario ricercato, sui modi vanitosi e autoironici, e rischia di far dimenticare il valore e il ruolo che un programma di cronaca nera come Storie Maledette ha avuto nella storia della televisione e della cultura popolare italiana, rischia cioè di mettere in secondo piano le abilità giornalistiche di Leosini, la maniera sorprendente in cui gli autori dei crimini raccontati in trasmissione sono portati a descrivere, in ogni intervista, le scelte che hanno compiuto nella loro vita: la presa di coscienza, la convivenza umana con la colpa, la responsabilità e l’espiazione della pena.
Immagine da Wikimedia.
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