Su Rivista Studio, l’intervista a cura di Laura Fontana a Gianni Cuperlo.
Gianni Cuperlo, a differenza di altri politici italiani, non polarizza le opinioni sui social media, che all’unanimità lo considerano un politico “serio”, “di un altro livello”, di un’eleganza democratica che dall’altro lato dell’oceano appartiene solo a Obama. Un politico dal carattere schivo fin dalla sua prima investitura nell’88 a capo della Fgci (Federazione giovanile comunista italiana), che ha vissuto la fine del Pci e le successive trasformazioni sempre rimanendo fedele ai valori fondanti della sinistra. Un politico troppo gentile, modesto e amante della cultura per essere un politico. Triestino, laureato al Dams di Bologna con una tesi in Sociologia della Comunicazione, per lungo tempo è stato ai vertici del Partito occupandosi proprio di comunicazione anche se durante l’intervista mi dice più volte che non se ne occupa più, quasi non gli interessi o forse per celare il fastidio verso questi tempi moderni. Anche fisicamente è un marziano: slanciato e dai colori nordici, praticamente Ian Curtis, ma con l’animo pop. Nel 2013 si è candidato alle Primarie, perdendo contro Renzi, ma accettando l’incarico di essere Presidente del Partito democratico, fino a gennaio 2014, quando si è dimesso per tornare nella sua dimensione in fondo consueta, dietro le quinte, a osservare e studiare. Su Facebook, il suo “Diario della crisi” è stato molto apprezzato, così come il post dedicato all’uscita di Renzi dal Pd: «Ho rimasto solo», citazione da I soliti ignoti. Forse anche metafora dell’esistenza come uomo e come politico.
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