La yakuza ha un problema: i suoi membri (detti anche loro yakuza) sono sempre più emarginati nella società giapponese, come riporta un reportage di Inews.uk (link alternativo).
A differenza della mafia in occidente, i gruppi delle yakuza non sono associazioni segrete, e operano alla luce del sole, mantenendo persino i propri uffici. Per decenni sono stati considerati entità onorevoli che fungevano da freno alla criminalità di strada. Ma dopo una guerra tra bande negli anni ’80 che ha provocato decine di morti e centinaia di feriti, la pressione dell’opinione pubblica ha portato a leggi sempre più severe contro la yakuza: ora i suoi membri non possono aprire conti in banca o assicurarsi, e i normali cittadini rischiano di essere incriminati se sono troppo vicini a loro. Il fascino di far parte di bande criminali è drasticamente calato, e i giovani non sono più interessati a entrare nella yakuza. Il numero dei suoi membri sta crollando, anche se questo non significa necessariamente che la criminalità organizzata in Giappone stia finendo. Le sue attività sono svolte sempre di più da “quasi-yakuza”, o “hangure”: membri di bande non affiliate alle vecchie organizzazioni, come gruppi di motociclisti, o addirittura vecchi yakuza che hanno deciso di mettersi in proprio.
Un tempo gli adolescenti che si combattevano per la strada idolatravano la yakuza, e il pubblico era interessato a ciò che facevamo, c’erano articoli su di noi nei giornali”, ha detto Wannan, un ex leader della gang Chinese Dragons, legata alla yakuza.
“Gli yakuza con una bella donna e una nuova auto, una volta erano fighi. Ma ora non è più così”.
Sul tema, c’è anche una puntata del podcast Altri Orienti, in cui il conduttore Simone Pieranni discute con la studiosa della yakuza Martina Baradel.
Per chi fosse interessato all’argomento, il giornalista investigativo Jake Aldestein (Tokyo Vice) se ne occupa spesso per articoli e libri.
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