Quanto sta avvenendo in Israele e nella Striscia di Gaza ha prodotto inevitabilmente anche una serie di reazioni sul fronte digitale e cyber. Che possono avere una qualche rilevanza non certo per le vittime di questi giorni terribili, ma solo se si allarga lo sguardo a tutta la regione o anche fuori dalla stessa. Quello che invece pesa anche materialmente nell’area è la soppressione delle comunicazioni nella Striscia di Gaza, che sta già in parte avvenendo (come specifico più sotto) e che potrebbe diventare ancora più radicale, con conseguenze molto serie anche sulla possibilità, già oggi molto complicata, di fare informazione.
Partiamo dunque dallo scenario strettamente cyber, cioè dalla serie di cyberattacchi che accompagnano il conflitto, e di gruppi che li rivendicano, all’interno però di circostanze molto confuse dove è difficile riscontrare l’entità e l’efficacia degli attacchi dichiarati, la consistenza e le affiliazioni dei gruppi partecipanti, i moventi reali dietro ad alcuni di questi gruppi.
Bisogna partire da queste considerazioni per contestualizzare tutti i resoconti sulla “cyberwarfare” scaturita dai drammatici eventi cui abbiamo assistito a partire dagli attacchi di Hamas contro Israele e dalla reazione dell’esercito israeliano nei confronti della Striscia di Gaza. E quando dico contestualizzare intendo nello specifico: prendere con le pinze i “numeri” sui gruppi che stanno prendendo parte allo scontro cyber; riconoscere che finora gran parte degli attacchi emersi sono di tipo dimostrativo (principalmente DDoS, che mandano offline dei siti per un po’ di tempo); che la parte di propaganda e disinformazione svolta da questi stessi gruppi ha un ruolo centrale.
(…) tra gli eventi confermati ci sono attacchi DDoS al sito del Jerusalem Post, che è andato offline varie volte nei giorni successivi all’assalto terroristico di Hamas, secondo lo stesso direttore Avi Mayer e l’account Twitter del giornale.
A soli tre giorni da quel drammatico 7 ottobre, alcuni ricercatori di threat intelligence della zona contavano almeno 60 siti web che avevano subito attacchi DDoS – riporta Wired US – la metà dei quali erano siti governativi israeliani. Più alcuni casi di defacciamento dei siti (quando si cambia l’immagine in home) che mostravano il messaggio “Palestina libera”. Mentre, secondo alcuni media israeliani, il ministero dell’Istruzione sarebbe passato da Zoom a Google per i meeting video dopo alcuni episodi di Zoombombing (irruzione in un meeting Zoom da parte di estranei) da parte di filo-Hamas. Mentre intorno al 16 ottobre andava offline anche il sito dell’Israeli Air Force (IAF) da parte del Cyb3r Drag0nz Team, riferisce la società di monitoraggio delle minacce cyber FalconFeeds.Il gruppo hacktivista noto come AnonGhost oltre a lanciare attacchi DDoS contro obiettivi israeliani ha rivendicato il presunto attacco alla app israeliana di allerta razzi RedAlert.
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