Un articolo di Tribune di inizio gennaio 2022 prova a gettare una luce sull’evoluzione del sentire politico negli anni ’10 e su cosa è rimasto dopo l’ondata populista.
Il punto di partenza dell’analisi sono gli anni ’90 e ’00, anni contrassegnati dalla cosiddetta post-politica
The rumour was going around that politics was dead. The advent of a ‘new world order’ was declared. The End of History was nigh … The word ‘struggle’ was discredited as a throwback to Marxism, become an object of ridicule. As for ‘defending rights’, the first that came to mind were those of the consumer.
Quegli annni erano celebrati come la fine dello scontro politico, con i tecnocrati saldamente in controllo e le persone proiettate nella sfera del privato. Dopo la decade del populismo, sebbene la crisi dell’associazionismo e della politica tradizionale non si sia interrota, tutto sembra cambiato. Le ultime elezioni USA hanno visto un’affluenza record, ondate di proteste come Black Lives Matter regolarmente scuotono le società occidentali e le stesse imprese fanno a gara a dimostrarsi impegnate nelle più svariate campagne sociali.
An era of ‘post-politics’ has clearly ended. Yet instead of a re-emergence of the politics of the twentieth century — complete with a revival of mass parties, unions, and workplace militancy — it is almost as if a step has been skipped. Those that were politicised by the era marked by the Financial Crash will remember when nothing, not even the austerity policies imposed in its wake, could be described as political. Today, everything is politics.
Gran parte dei movimenti protagonisti di questa fase politica condividono alcuni elementi strutturali comuni. Anzitutto, l’ossessione per la forma liquida e la sostanziale assenza di strutture. Nei casi più di successo, come il Movimento 5 Stelle, La Republique en Marche o La France Insoumise, questi movimenti sono coagulati in partiti digitali, nati sotto la promessa di portare maggir partecipazione e minor burocrazia, ma in realtà semplici progetti di partiti personali al servizio delle personalità animatrici. Contemporaneamente, in tutto l’Occidente i partiti tradizionali hanno visto una vera e propria emorraggia di iscritti, riducenbdo la militanza al lumicino e svuotando il partito della sua capacità di produrre politica.
Si può provare a tracciare un parallelo tra le forme dell’organizzazione politica e le forme della contemporanea organizzazione lavorativa. Una volta tramontata la dimensione di fabbrica, con la sua stabilità nelle relazioni, nche la forma tradizionale di associanzionismo partitico è entrata in difficoltà. D’altra parte, è sorto un nuovo tipo di impegno politico, più fluido ed informale, che ricorda molto più da vicino un mondo fatto di start-up ed impieghi a tempo determinato. Il risultato, però, sono organizzazioni che possono essere paragonate a dei corpi senza organi, muscolari ma senza un reale metabolismo interno. Queste organizzazioni sviluppano una forma di autoritarismo fluido, in cui i leader riescono ad imporre forme di obbedienza senza doversi impegnare su specifiche piattaforme. Queste organizzazioni si comportano come degli sciami invece che come delle classiche masse, sono capaci di grandi sforzi ma tendenzialmente per periodi di tempo molto limitati.
In many ways we can describe this period as a transition from ‘post’ to ‘hyper-politics’, or the re-entry of politics into society. Yet our new ‘hyper-politics’ is also distinct in its specific focus on interpersonal and personal mores, its incessant moralism and incapacity to think through collective dimensions to struggle. In this sense, ‘hyper-politics’ is what happens when ‘post-politics’ ends, but not on terms familiar to us from the twentieth century — the form political conflict takes in the absence of mass politics. Questions of what people own and control are increasingly replaced by questions of who or what people are, replacing the clash of classes with the collaging of identities.
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