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I poliziotti fanno come se le leggi non si applicassero a loro per via della “Qualified immunity”. Hanno ragione.

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USA Today pubblica un articolo in cui gli autori (avvocati) spiegano la dottrina legale che sta alla base delle assoluzioni (o mancate imputazioni) dei poliziotti che vengono accusati di aver ammazzato o danneggiato persone. E che probabilmente sarà usata nella difesa dei poliziotti accusati di aver ammazzato George Floyd il 25 maggio.

Secondo questa interpretazione, la Corte Suprema ha creato nel 1982 la dottrina della “qualified immunity”, con la quale nessun rappresentante governativo può essere accusato di violare i diritti costituzionali e civili di altre persone, se queste non possono provare che i diritti erano già “clearly established”.

Secondo questa giurisprudenza, spetta alla vittima provare che esiste un precedente giuridico della Corte Suprema o di un tribunale federale che abbia già stabilito che la stessa condotta sia già stata dichiarata illegale o incostituzionale. Se un precedente identico non esiste, il poliziotto non può essere condannato. L’articolo cita numerosi esempi delle conseguenze di questa dottrina, tra cui

For instance, last November the 6th Circuit U.S. Court of Appeals held that Tennessee cops who allowed their police dog to bite a surrendered suspect did not violate clearly established law. There, the victim cited a case where the same court earlier held that it was unconstitutional for officers to sic their dog on a suspect who had surrendered by lying on the ground with his hands to the side. That was not sufficient, the court reasoned, because the victim had not surrendered by lying down: He had surrendered by sitting on the ground and raising his hands.

 


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