L’Università La Sapienza informa che, per la prima volta, un team di ricercatori ha analizzato il DNA delle iene fossili trovate in Sicilia.
Un nuovo studio infatti, condotto dai ricercatori delle Università di Palermo, Milano Statale, Firenze, Roma Sapienza, Bangor University e Cambridge e pubblicato sulla rivista internazionale Quaternary Science Reviews, ha permesso di ottenere nuove informazioni sulla biodiversità e sull’evoluzione di questi animali. I risultati mostrano che le iene siciliane avevano caratteristiche genetiche uniche, diverse da quelle delle iene attuali. Questa scoperta offre nuove prospettive sulla storia evolutiva delle iene e sull’ecosistema dell’isola durante il periodo in cui vivevano.
Prima ancora che Homo sapiens arrivasse in Sicilia, circa 16 mila anni fa, sull’isola erano molto diffuse le iene del genere Crocuta. Tra i più iconici carnivori delle savane, la iena macchiata è oggi presente in buona parte dell’Africa sub-sahariana, ma durante il Pleistocene, tra 800 e 16 mila anni fa, era diffusa in territori molto più ampi che includevano l’Europa e l’Asia, mentre l’unica isola dove la presenza di questa specie è stata documenta-ta dai fossili, è la Sicilia. Questa caratteristica rende le iene siciliane uniche da un punto di vista paleo-biologico e offre agli studiosi una rara opportunità per comprendere meglio sia gli adattamenti che i pro-cessi evolutivi legati all’isolamento geografico di un grande carnivoro, estremamente raro in contesti insulari.
Il DNA nucleare utilizzato nello studio
…è stato estratto da un frammento di coprolite, un escremento fossilizzato di iena di oltre 20 mila anni, proveniente dal sito della Grotta San Teodoro (Messina).
L’analisi del DNA ha anche svelato qualcosa sull’alimentazione delle iene siciliane:
“Questo tipo di analisi permette di ipotizzare che le iene pleistoceniche siciliane possano far parte di una popolazione genetica “relitta”, sopravvissuta sull’isola fino a circa 20 mila anni fa” – sottolinea Raffaele Sardella del Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza che ha partecipato alla ricerca. Dawid A. Iurino, coautore dello studio, aggiunge “oltre al DNA di iena, nel coprolite abbiamo individuato tracce di DNA equino che ci ha permesso di rivelare il contenuto del pasto di una iena di 20 mila anni fa.
La notizia di questa scoperta è stata riportata anche da ArcheologiaViva:
Giulio Catalano, paleogenetista dell’Università di Palermo e primo autore dello studio, commenta: «possiamo ipotizzare che un tempo la popolazione di queste iene fosse ampiamente distribuita sul continente, circa 500mila anni fa. Ma arrivate in Sicilia, grazie all’isolamento geografico, questa popolazione ha conservato le proprie caratteristiche genetiche mentre nel resto d’Europa si è invece persa nel corso del tempo. Questo grazie anche al contributo dei diversi scambi genetici avvenuti con le iene africane».
Luca Sineo, docente dell’Università di Palermo e responsabile del progetto, commenta: «Grotta San Teodoro, con il suo enorme patrimonio, si conferma tra i più importanti siti europei per lo studio del Pleistocene, ovvero gli ultimi 2.5 milioni di anni».
«Grazie alla grande mole di dati che si possono ottenere da un numero sempre maggiore di resti appartenenti a specie diverse, siamo in grado di delineare con elevata precisione la storia evolutiva non solo dell’uomo, ma di molteplici forme viventi», conclude David Caramelli, professore ordinario di Antropologia dell’Università di Firenze.
Il sito paleontologico e preistorico della Grotta di San Teodoro viene descritto sul sito di Acquedolci, comune della città metropolitana di Messina.
La prima segnalazione della grotta di San Teodoro e dei depositi paleontologici e paleoetnologici ubicati al suo interno e sul talus ad essa antistante, si deve alla esplorazione del Barone Anca che nel 1859 eseguì un primo saggio di scavo. Egli notò che all’interno vi erano depositi del Paleolitico Superiore e nell’ampio saggio che fece all’ingresso della grotta trovò un sedimento che conteneva resti di animali (elefante nano, iena, cervo, cinghiale, orso, asino). Successive indagini, ognuna di straordinaria importanza, si devono a Vaufray (1925), Graziosi e Maviglia (1942), e Bonfiglio (1982-1985, 1987, 1989, 1992, 1995, 1998, 2002, 2004). La Grotta di San Teodoro fu abitata dall’uomo entro uno spazio di tempo valutabile, all’incirca, tra i 12.000 e gli 8.000 anni a.C. che dal punto di vista culturale rappresenta l’ultimo periodo del Paleolitico Superiore italiano comunemente chiamato Epigravettiano finale. La singolarità e l’importanza della grotta è data dal ritrovamento delle prime sepolture paleolitiche siciliane: sono cinque crani e due scheletri eccezionalmente completi che per primi hanno consentito una conoscenza approfondita degli antichi abitanti della Sicilia. Il rituale delle sepolture consisteva nella deposizione del defunto in una fossa poco profonda in posizione supina oppure sul fianco sinistro, circondato da ossa animali, ciottoletti e ornamenti composti da collane fatte con denti di cervo. Tutte le deposizioni furono ricoperte da un leggero strato di terra e al di sopra fu sparsa dell’ocra (colorante naturale) che formava un sottile livello. La testimonianza più importante è data dal ritrovamento dei resti fossili di una donna di circa 30 anni, alta 165 cm, alla quale è stato attribuito il nome di Thea (dal latino Theodora) per collegarlo a quello della grotta.
Preistoria in Sicilia racconta invece di Thea, il cui scheletro, ritrovato nella grotta di San Teodoro, è conservato nel Museo Geologico Gemmellaro a Palermo :
Tra gli scheletri completi di S. Teodoro, il reperto più importante è rappresentato dai resti fossili di una donna di circa 30 anni, alta 165 cm, vissuta tra 14 mila e 11 mila anni fa e alla quale è stato attribuito il nome di Thea (dal latino Theodora) per collegarlo a quello della grotta.
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