In un articolo pubblicato su Jacobin Italia, Alberto Prunetti illustra la tre giorni di letteratura operaia e risponde alle critiche rivolte dalla proprietà GKN, dove si terrà il festival, agli organizzatori del Festival di letteratura working class di Campi Bisenzio.
Gli organizzatori hanno obiettivi ambiziosi:
Con la letteratura working class allora proviamo a fare cose che la letteratura mainstream, percepita come neutrale ma di fatto prodotta da élite privilegiate, idealiste e borghesi, non riesce a fare: riflettere sui rapporti tra letteratura e conflitti sociali, alimentare con la scrittura un immaginario che sia emanazione dei gruppi di lavoratori e lavoratrici subalterni; intrecciare la tradizione dell’operaismo italiano con l’opera di Mark Fisher, di Antonio Gramsci e con la pedagogia degli oppressi. E ancora: prendere dalle mani della borghesia la letteratura e farla convergere con lo sciopero, la più potente risorsa a servizio della classe operaia, per inventarsi un lit strike, uno sciopero letterario: che non sono gli scrittori che fanno sciopero, ma gli operai che usano la letteratura (di classe operaia) per rivendicare i propri salari e i propri posti di lavoro.
Il festival, organizzato nella ex GKN in liquidazione, ha ricevuto una diffida “di organizzare tale evento”: il liquidatore minaccia di “(denunciare) alle autorità competenti gli organizzatori e tutti coloro che si dovessero introdurre all’interno dello stabilimento”.
La nostra legittimità in realtà viene dallo Statuto dei lavoratori ma anche dalla storia più complessiva delle conquiste sindacali del nostro paese, realizzate dal 1962 fino alla fine degli anni Settanta. Dobbiamo immaginare il Festival di letteratura working class come un atto di sciopero, intendendo però questo sciopero in maniera non tradizionale, come una variante strategica dei nuovi modi creativi e alternativi di scioperare. Scioperi che implicano a volte anche il produrre di più per intasare i magazzini, oppure rifiutarsi di espletare alcune mansioni, come lo sciopero dei controllori che non timbrano i biglietti sui bus e fanno viaggiare gratis i pendolari. Certo, i liquidatori direbbero: «ma è illegale non timbrare i biglietti, vi denunceremo!». No, non è illegale, è una tecnica di sciopero. E non puoi denunciare chi sciopera, altrimenti ti condannano per condotta antisindacale in tribunale.
Ci spiace che questo non venga capito da chi ci «liquida» come una questione di legalità. Credo sia urgente un corso di alfabetizzazione sui diritti del lavoro e che l’educazione civica, più che nelle scuole, vada fatta nei corridoi del management italiano. Lo sciopero è un diritto, non un crimine. Un diritto che si esercita nel luogo di lavoro. Lo sciopero non si fa in sala betting e neanche in parrocchia, si fa in fabbrica, dentro e davanti alla fabbrica.
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