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Il mito della femmina riservata

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Prendendo spunto dal suoi studi etologici sui macachi, Frans de Vaals nel suo libro Diversi (estratto del libro disponibile sul magazine L’indiscreto) spiega al grande pubblico alcune sue osservazioni sul campo e presenta alcune riflessioni che possono essere applicate anche a primati “con meno pelo di altri”.

Ho lavorato con i macachi dell’Henry Vilas Zoo di Madison, nel Wisconsin, per un decennio. Spickles aveva una grande determinazione e la faccia coperta di efelidi rosse a cui ci eravamo ispirati nel dargli il nome. Si muoveva nel recinto roccioso all’aperto con fare solenne, circondato da femmine ansiose di pulirlo e spulciarlo. 

Anche lo psicologo Abraham Maslow osservò a lungo i macachi e nel farlo elaborò la teoria della gerarchia dei bisogni, secondo la quale occorre prima soddisfare i propri bisogni fondamentali per poter sviluppare appieno il proprio potenziale: Maslow trasferì la determinazione scimmiesca nell’autostima umana, considerata quindi come una miscela di autovalutazione e autocontemplazione.

Ritenuta perfetta per la cultura statunitense e considerata valida ancora oggi, l’autostima come motore della dominanza ne ignora tuttavia la componente sociale concentrandosi solamente su quella psicologica:

L’idea paradossale per cui un individuo può essere dominante ma anche dipendente dagli altri probabilmente non ha mai sfiorato Maslow.

E qui torniamo ai macachi studiati da Frans de Vaals:

Tra primatologi si pensava che i maschi alfa diffondessero i propri geni con più successo degli altri. Per sostenerlo però ci basavamo esclusivamente sull’attività sessuale osservata e documentata. Più un maschio si accoppiava, più credevamo che avrebbe procreato. Questa ipotesi però si è rivelata sbagliata. Mentre i maschi alfa non si fanno scrupoli a montare le femmine all’aperto, gli altri spesso si danno da fare di nascosto durante la notte. […]

Nel gioco dell’accoppiamento la posizione nella gerarchia è soltanto uno dei fattori da considerare. L’altro è la preferenza femminile. Per molto tempo questo fattore venne trascurato, in parte perché la scelta della femmina è più difficile da osservare rispetto alla spacconeria maschile. […]

La seconda ragione per cui abbiamo sottovalutato il ruolo della scelta femminile è culturale. Nelle scienze biologiche e nella società in senso lato la sessualità femminile, umana o animale, venne per molto tempo descritta come passiva e riservata. Ci si aspettava che le femmine fossero passive e riservate e le eccezioni venivano minimizzate o trascurate. Si pensava che fosse il maschio a decidere chi dovesse riprodursi e chi no. La conquista delle femmine poteva essere difficile, quando si permetteva loro di scegliere il maschio migliore tra numerosi pretendenti, ma l’iniziativa sessuale femminile non rientrava nelle teorie biologiche dell’epoca.


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