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Il problema con il termine preistoria

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Gli autori di un articolo pubblicato sul magazine di antropologia Sapiens sostengono che il termine “preistoria” sia ormai inadeguato e propongono di sostituirlo con “storia profonda”, per riflettere meglio le continue evoluzioni culturali e sociali delle popolazioni indigene.

Per secoli, gli archeologi hanno definito la preistoria come un tempo precedente alla scrittura, spesso usando il “sistema delle tre età” per dividere nettamente i tempi preistorici in età della pietra, del bronzo e del ferro. Introdotto per la prima volta dall’archeologo danese Christian Jürgensen Thomsen nel XIX secolo, il sistema implica un percorso lineare da “primitivo” a “avanzato” per descrivere il progresso tecnologico.

Un gruppo di archeologi che lavora nel sud-est asiatico sta cercando di cambiare questa prospettiva:

Come archeologi che lavorano nel sud-est asiatico, affermiamo che questo sistema eurocentrico distorce le nostre comprensioni condivise del passato, spesso ignorando lo sviluppo in corso delle culture e delle società indigene nella regione e altrove. Invece, sosteniamo la “storia profonda”. Questo approccio alla ricerca archeologica attribuisce valore al continuo sviluppo culturale e sociale dell’uomo.

L’articolo porta un paio di esempi che gli autori ritengono significativi: le terrazze di riso degli Ifugao  nelle Filippine e la storia di Angkor Wat in Cambogia.

Le terrazze di riso nelle Filippine, spesso considerate antiche di 2.000 anni, sono in realtà vecchie solo di circa 400 anni. Queste strutture sono state create come forma di resistenza alla colonizzazione spagnola.

All’inizio del 1900, i pionieri antropologi statunitensi che visitarono la regione ipotizzarono che le terrazze avessero più di 2.000 anni, senza alcun supporto scientifico, semplicemente in base alla portata e alla profondità del loro aspetto. Tuttavia, la nostra ricerca ha rivelato che queste terrazze iconiche hanno in realtà solo 400 anni.

Le terrazze di riso, secondo gli autori dell’articolo, sono un esempio che illustra come sia sempre necessario mettere in discussione le narrazioni consolidate: il popolo Ifugao, descritto come isolato e immutabile, ha invece resistito alla colonizzazione spagnola grazie alla costruzione di queste terrazze. I produttori di riso Ifugao che vivevano in pianura si spostarono negli altopiani dove vennero costruite le terrazze, sostituendo la precedente coltivazione del taro.  Inoltre il ritrovamento di ceramiche provenienti dalla Cina, dal Giappone e da altre parti del sud-est asiatico, risalenti al periodo coloniale spagnolo, sottolinea come gli Ifugao non fossero affatto un popolo isolato.

Per quanto riguarda Angkor Wat invece:

La narrazione coloniale francese ha distorto la storia di Angkor Wat, enfatizzando le sue origini indù e trascurando il suo ruolo continuo come sito di pellegrinaggio buddista.

Sotto il dominio coloniale francese a metà del XIX secolo, la Francia sosteneva di essere l'”erede legittimo” di Angkor, trattandola come una reliquia del lontano passato. Le interpretazioni coloniali tendevano a evidenziare le origini indù di Angkor, inquadrandola come rappresentante dell’età d’oro della Cambogia, mentre respingeva i successivi sviluppi buddisti come influenze straniere. Questa linea temporale rafforza una storia di declino piuttosto che di transizione dal periodo indù a quello buddista. Ha anche rafforzato l’immagine degli archeologi francesi come salvatori di una civiltà “perduta”, minimizzando il fatto che i cambogiani hanno attivamente abbracciato e contribuito alla diffusione e all’integrazione del buddismo nella loro società.

Gli archeologi cambogiani utilizzando nuove tecnologie grazie ai droni hanno scoperto strutture nascoste all’interno di Angkor Wat e hanno dimostrato che il sito era ancora abitato per tutto il XVII secolo.

L’articolo si conclude sottolineando la necessità di superare il sistema delle tre età che non ha mai funzionato nel sud-est asiatico: la “Preistoria” non è composta da una semplice storia lineare.


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