Un articolo de “Il Tascabile” parla dell’attuale mercato immobiliare italiano, partendo dalla consueta constatazione che gli Italiani siano un popolo di proprietari di case (quasi l’80% della popolazione abita in una casa di proprietà, secondo l’ISTAT). Questa situazione è il risultato di un processo storico ben preciso, in cui lo Stato ha costantemente incentivato, nel corso dei decenni, l’acquisto di case: si stima che le spese in edilizia agevolata per la vendita siano state il quintuplo di quelle per l’edilizia residenziale pubblica. Ancora adesso, del resto, il reddito risultante da affitti brevi è tassato di meno di quello da lavoro a bassi livelli di reddito. “Insomma in pratica in Italia non esiste attività più protetta che quella di estrarre rendita dal patrimonio immobiliare”, sintetizza l’autrice.
Le conseguenze di un aumento della domanda di abitazioni impattano quindi in maniera diversa, su ceti sociali diversi. Gli investimenti pubblici che aumentano il valore di alcune aree vanno soprattutto a vantaggio di chi affitta. Chi semplicemente possiede la casa in cui vive, assiste alla crescita del suo valore di mercato, ma non ne ricava un vantaggio nell’immediato. Chi invece fa parte del quinto della popolazione che vive in affitto è costretto a pagare di più, senza che nuove abitazioni economiche stiano arrivando sul mercato.
Oggi l’Italia è paese di proprietari (anziani), i salari sono da fame, chi può campa di rendita, e tutti gli altri si attaccano o emigrano. E si riparte da zero, con una nuova questione abitativa, senza più strumenti e politiche pubbliche per affrontarla.
Il problema della casa non è, e non è mai stato, un problema individuale. È un problema sociale e sistemico. Sulla casa si regge gran parte del sistema economico. la soluzione all’emergenza abitativa non è la proprietà, non è il debito, non sono i mutui agevolati. E non è la costruzione di più case senza alcun controllo pubblico. Al cuore della questione c’è la vecchia, vecchissima, questione del controllo della rendita urbana, che non può sostituire il reddito da lavoro. Il livello attuale di estrazione di rendita non è più compatibile con la funzione sociale delle città. Bisogna rilanciare un piano nazionale di edilizia pubblica, abbassare gli affitti, mettere un tetto al loro aumento, e alzare i salari.
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