Su suggerimento e a cura di @Ebroin
L’argomento è delicato ma, attenzione, non si tratta di revisionismo. È invece un importante dibattito che si è svolto, e tuttora prosegue, ai piani alti della storiografia sulla Shoah.
Le due posizioni estreme possono essere così riassunte:
– da una parte, gli intenzionalisti puri, che ritengono che la macchina di sterminio nazista seguisse ordini espliciti, provenienti dai vertici politici e militari, in base a un piano prestabilito;
– dall’altra, i funzionalisti puri, che ritengono non vi sia stata alcuna pianificazione o direzione dall’alto: lo sterminio si innescò da solo, a livello medio-basso, in seguito a una serie di fattori concomitanti. Hitler non ordinò l’Olocausto.
Che il secondo punto di vista sia un’impostazione lecita per uno storico serio, questo può suonare strano a molti. Quindi è opportuno cominciare da Wikipedia. Il relativo articolo in inglese è molto accurato; più breve, ma comunque esaustivo, è quello italiano che da esso deriva.
Va tenuto presente che i funzionalisti non negano che sia avvenuto l’Olocausto e ritengono che i vertici nazisti, Hitler compreso, ne fossero a conoscenza e l’abbiano prima reso possibile tramite la loro propaganda, poi l’abbiano ufficiosamente approvato, assecondato e anche in qualche misura sollecitato – senza però progettarlo o ordinarlo direttamente. Fra i funzionalisti – più o meno moderati – vi sono molti fra gli studiosi più autorevoli, a cominciare da Christopher Browning, Hans Mommsen, Zygmunt Bauman e soprattutto Raul Hilberg, che si spostò verso il funzionalismo nel corso della lunga revisione de “La distruzione degli ebrei d’Europa”, pubblicato per la prima volta nel 1961 e spesso ritenuto l’opera più importante mai scritta sull’Olocausto. Hilberg inizialmente impostò la sua ricerca su basi rigidamente intenzionaliste, ma finì per notare che gran parte delle operazioni di sterminio risultavano derivare da iniziative prese a livello locale, frutto dell’interazione e degli attriti fra diverse agenzie e organizzazioni.
Fra gli intenzionalisti più noti, spiccano invece lo storico tedesco conservatore Andreas Hillgruber e Lucy Dawidowicz, che ipotizzò che Hitler avesse già concepito il suo piano di sterminio nel 1918. Viene di solito compreso fra gli intenzionalisti anche Daniel Goldhagen, autore del discusso volume “I volonterosi carnefici di Hitler” (1996). Sul sito dell’Ente nazionale per la Memoria della Shoah in Israele c’è un lungo articolo dello storico inglese Ian Kershaw che riassume la questione da un punto di vista “strutturalista”, ossia moderatamente funzionalista.
Com’è prevedibile, fin dall’inizio si è provato a conciliare, o superare, la contrapposizione fra le due tesi, in particolare da parte degli storici di solito ricondotti al funzionalismo. Un altro fra gli innumerevoli possibili esempi è questo breve intervento (in inglese) di Elliott Dlin, che fu direttore del Museo dell’Olocausto di Dallas. I punti deboli di entrambe le tesi sono qui valutati da un punto di vista fondamentalmente funzionalista, prendendo in esame anche uno degli elementi più difficili da interpretare: fino al 1941, i vertici nazisti lavorarono a una “soluzione territoriale” del problema ebraico, progettando la creazione di una specie di “riserva indiana” per gli ebrei, da porre in Polonia o nel Madagascar.
Ovviamente, i revisionisti, i negazionisti e i neonazisti hanno approfittato di questa disputa. Il revisionista David Irving, nel 1996, denunciò per diffamazione una storica intenzionalista che aveva condannato le sue tesi, basate sul funzionalismo più estremo. Irving perse la causa, ma i suoi argomenti posero notevoli problemi agli storici. Qui c’è un vecchio articolo di “Repubblica” in cui Eric J. Hobsbawm, l’autore de “Il secolo breve”, affronta la questione.
Lo scarso spazio che il funzionalismo riceve nelle opere divulgative va chiaramente ricondotto alla possibilità che le sue tesi vengano sfruttate dai negazionisti. Ciò vale per l’Olocausto, ma anche per analoghe interpretazioni degli altri genocidi del ventesimo secolo. D’altro canto ci si può chiedere, come fa Hobsbawm, quanto dovremo aspettare prima che il giudizio politico smetta di influenzare e a volte prevaricare il giudizio storico.
Va anche considerato che il funzionalismo applicato alla Shoah permette di individuare un fenomeno molto importante. Si tratta di un nuovo incubo della modernità, che si può mostrare bene tramite la figura di un grigio funzionario militare alla scrivania, intento a sbrigare complesse pratiche di logistica, con l’efficienza necessaria in un paese impegnato in una guerra immensa e durissima. Uno dei fogli che si trova di fronte espone le difficoltà materiali a trasferire alcune migliaia di ebrei (che nella sua testa non sono più esseri umani). Il funzionario annota in calce al foglio “fucilateli”, lo sigla, lo timbra e poi passa alla risoluzione della pratica successiva, che tratta di pezzi di ricambio per locomotive. Un nuovo tipo di carnefice, che Attila, Gengis Khan o Ivan il Terribile mai avrebbero potuto immaginare.
Immagine da Flickr
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