un sito di notizie, fatto dai commentatori

Il sesto dito, tra neuroscienze e robotica

0 commenti

Riccardo Manzotti su Doppiozero ci parla del libro Il corpo artificiale. Neuroscienze e robot da indossare di Simone Rossi e Domenico Prattichizzo, un neuroscienziato e un ingegnere robotico, nel quale i due autori esplorano un tema affascinante: l’integrazione tra neuroscienze e robotica.

Il fatto di avere dieci dita sembra una delle cose più naturali e scontate, tuttavia ci si potrebbe chiedere perché non averne di più (o di meno). Nel mondo naturale, il numero delle dita è quasi sempre 5. Rossi e Prattichizzo si sono posti una domanda intrigante: perché solo 5 dita e solo un pollice? Non potremmo modificare il corpo umano con protesi in grado di sostituire arti umani ed eventualmente aggiungerne di nuovi?

La domanda e l’obiettivo potrebbero apparire un po’ arbitrari. In fondo se l’evoluzione non ha selezionato mammiferi con un numero maggiore di dita (come gli alieni dell’Eternauta di Héctor Germán Oesterheld) non ci saranno grandi vantaggi. Solo pochi animali hanno il pollice opponibile (lemuri e scimmie) e solo uno ha due pollici per mano, ovvero il Koala. Ma nessuno di loro sembra particolarmente rivoluzionario.

L’idea di protesi che modifichino il numero delle dita potrebbe avere molteplici applicazioni:

In realtà, nel caso degli esseri umani, una protesi che non solo riproduce il pollice opponibile ma eventualmente lo raddoppia, avrebbe molteplici e significative implicazioni. Nel libro, grazie alle neuroscienze, scopriamo che in molte malattie degenerative del sistema nervoso l’uso di protesi permette di stimolare e mantenere in relativa salute più a lungo il nostro cervello. Anche nel caso di amputazioni accidentali la possibilità di riprodurre materialmente l’arto (pollice o dito che sia) ha ovviamente ricadute benefiche sulle persone.

Il corpo artificiale: Neuroscienze e robot da indossare rivela come robotica e neuroscienze possano integrarsi per rispondere a domande specifiche e produrre dispositivi con un valore medico o pratico. Questo campo, noto come robotica wearable, si occupa di realizzare soluzioni robotiche che integrano il corpo umano con dispositivi sensoriali e motori, prefigurando la figura del cyborg. Un mix di naturale e artificiale, umano e robotico, che apre nuove prospettive e sfide affascinanti.

La robotica indossabile può migliorare la qualità della nostra vita, ma soprattutto la salute di chi ha subito danni cerebrali e soffre di deficit neurologici. Il sesto dito, per esempio, può potenziare la presa dei pazienti con paresi della mano, le cavigliere vibranti possono aiutare il cammino nei malati di Parkinson e un dispositivo vibrante comandato da smartphone può giovare nella terapia degli acufeni.
La sfida di questa linea di ricerca è legata alle neuroscienze, fondamentali per capire come il cervello sia in grado di riadattarsi plasticamente a componenti del corpo del tutto nuove. È quindi imprescindibile che neuroscienze e ingegneria lavorino e crescano insieme, in una sana contaminazione, sforzandosi di trovare un linguaggio sempre più comune per facilitare lo scambio di conoscenze. Due protagonisti della ricerca di frontiera raccontano le conquiste e le sfide di questa sinergia: a che punto siamo, dove stiamo andando, cosa cambierà per le nostre vite nel prossimo futuro.

 


Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.