Doppiozero pubblica una lunga intervista a Silvia Bottani (giornalista), Fulvio Carmagnola (professore di Estetica alla Bicocca) e Stefano Catutti (docente di Estetica alla Sapienza) cercando di definire il fenomeno del kitsch contemporaneo, la sua evoluzione, l’influenza dalla rete e come l’etica e la politica ne siano condizionate.
Il kitsch investe facilmente la pittura, i linguaggi plastici, la letteratura, il design, la musica e il cinema, proprio per la facilità con cui queste forme aderiscono al linguaggio popolare e per l’elevata potenzialità che presentano in termini di feticizzazione.
Silvia Bottani, che scrive di arte contemporanea su Doppiozero, sottolinea come il mercato, con la sua continua richiesta di prodotti di consumo, sia un vero e proprio generatore di kitsch:
Per il kitsch l’autenticità non è un valore, quindi si inserisce perfettamente in contesto globale in cui i codici di realtà e finzione sono crollati, dopo decenni di feticizzazione delle merci. Inoltre la richiesta di prodotti culturali e di intrattenimento sempre più massiccia, legata allo stato di benessere dei paesi occidentali ma anche di quelli in via di sviluppo, unita alla diffusione della rete e delle piattaforme sociali e di contenuti fa sì che il mercato abbia bisogno di produrre massicciamente prodotti di consumo culturale e il kitsch è la risposta ottimale, remunerativa e adeguata a tale richiesta.
Fulvio Carmagnola, definisce il kitsch come un «non sapere che non sa di non sapere, a un livello mai prima d’ora così generalizzato e imponente»; si domanda però se sia lecito guardare scandalizzati a questo fenomeno così diffuso e pervasivo:
E tuttavia, per questo dobbiamo arricciare il naso? E con quale diritto? E’ lecita una posizione di arrocco aristocratico come quella, per esempio, di Adorno? Forse la questione andrebbe posta così: si può ancora giocare con il kitsch e con la potenza dei suoi dispositivi impliciti, dei suoi sistemi informali?
Infine Stefano Catucci mette l’accento su quanti contenuti kitsch siano entrati nelle poetiche del post-moderno:
Come molti altri termini ormai storicizzati, anche il Kitsch non è più lo stesso di una volta. Tutto quel che lo caratterizzava al principio — l’accumulo di stili differenti, il citazionismo, la serialità, l’indifferenza per l’autenticità, la menzogna esplicita, il fascino del brutto — è entrato a far parte di codici estetici che ne hanno modificato profondamente i confini originari. Basti pensare a quanto del vecchio Kitsch è entrato nelle poetiche del post-moderno: basterbbe citare gli scritti su Las Vegas o sull’architettura Pop di autori che hanno avuto una vasta influenza internazionale a partire dagli anni Settanta come Robert Venturi e Denise Scott-Brown. Il risultato è stato un assorbimento del concetto storico di Kitsch in forme estetiche che non hanno più bisogno di attribuirgli una connotazione squalificante o di rivendicarlo rovesciando.
Il nuovo kitsch secondo Catucci ha modificato le nostre aspettative sull’arte e cambiato sostanzialmente molte prassi artistiche:
Il momento in cui il vecchio Kitsch è entrato fra i materiali della ricerca artistica coincide con l’affermazione della cultura di massa e con il primo emergere dei fenomeni di globalizzazione. Sullo sfondo di questa maggiore complessità diventa molto più difficile isolare i valori della cultura tradizionale, e al tempo stesso sembra inevitabile che il senso del “nostro” si sia molto modificato.
Il professore conclude riflettendo sul fatto che il kitsch è entrato anche nel modo di affrontare i problemi: negare un fenomeno (come i disastri ambientali) può essere di per sé rappresentazione estetica di un uomo politico così come enfatizzarne un altro (per esempio la religione fondamentalista) può diventare la raffigurazione plastica di un’intera comunità:
In passato il suo concetto serviva a porre in rilievo i limiti dell’arte o del gusto. Oggi la sua nuova configurazione può servire a denunciare i limiti di un’etica e di una politica sottoposte a processi intensivi di estetizzazione.
Immagine: Capri23auto, Garden Gnome.
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