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Israele: gli intellettuali e il discorso pubblico

Israele: gli intellettuali e il discorso pubblico

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Daily Nous pubblica un intervento di David Enoch su come intellettuali ed accademici dovrebbero intervenire nel discorso pubblico.

La riflessione prende spunto da una lettera firmata da molti professori universitari e indirizzata al governo britannico:

Siamo un gruppo di accademici studiosi di scienze politiche, filosofia politica, etica, storia, geografia, diritto e Medio Oriente. La imploriamo di chiedere l’immediata cessazione dell’attacco moralmente disastroso di Israele a Gaza e che Israele permetta il libero passaggio degli aiuti umanitari a Gaza, oltre a continuare a chiedere ad Hamas di rilasciare gli ostaggi israeliani. L’attacco di Hamas del 7 ottobre è stato un atto di terrorismo di massa orribile e moralmente ripugnante, che ha preso di mira indiscriminatamente i civili israeliani, compresi i bambini. Secondo il diritto internazionale, Israele ha il diritto di prendere misure difensive contro Hamas. Ma questo diritto non si estende né giustifica l’attuale assalto di Israele alla popolazione civile di Gaza. In effetti, pensare che le atrocità perpetrate da Hamas giustifichino la crisi umanitaria attualmente in corso a Gaza significa assecondare un principio centrale del terrorismo – che tutti i cittadini devono pagare per le malefatte dei loro governi – e la pratica centrale del terrorismo: la punizione collettiva.

Enoch, egli stesso professore (di filosofia ad Oxford, filosofia e diritto alla Hebrew University) è molto critico verso la lettera e i firmatari:

Penso che i filosofi (e altri intellettuali e accademici) possano talvolta offrire contributi preziosi al discorso pubblico. Tuttavia, credo che questa lettera sia un esempio paradigmatico di come non farlo.

Secondo Enoch, tre sono i punti critici dell’appello. In primo luogo Israele — al contrario di Hamas — sta colpendo obiettivi militari, le vittime civili sono drammatiche ma non l’obiettivo dell’offensiva. In secondo luogo è difficile valutare il concetto di «proporzionalità» della risposta dalla propria cattedra nel Regno Unito; bisogna per esempio considerare gli attacchi futuri di Hamas che Israele sta prevenendo con l’operazione militare. Come ultimo punto, Israele sta esercitando una misura di deterrenza, deterrenza che non è solo contro Hamas ma anche altri potenziali attori ostili (Iran, Hezbollah, etc); la deterrenza per essere efficace deve essere molto violenta, deve dare l’idea che Israele sia pronto all’uso della forza.

Enoch conclude:

Certo, penserete, le cose sono complicate, ma non si possono riconoscere tutte le complessità in una breve ed efficace lettera ai leader politici! Questo è corretto, ma irrilevante. Se c’è un senso agli interventi intellettuali nel discorso pubblico, sicuramente è quello di aiutare le persone – forse anche quelle che hanno passato almeno una parte della loro vita a fare altre cose – ad apprezzare le complessità rilevanti. La lettera degli accademici, tuttavia, contribuisce a nascondere le complessità alla vista, a mantenere il discorso pubblico (al quale spera di contribuire) semplicistico. Ecco perché è un ottimo esempio di come non offrire un intervento nel discorso pubblico. Quanto all’importanza della brevità per avere un effetto nel mondo reale, la lettera degli accademici non farà una differenza pratica, per quanto breve e troppo semplificata. I leader politici non stanno trattenendo il fiato per ascoltare ciò che noi professori abbiamo da dire. Se abbiamo un contributo, questo si manifesta in modi diversi. E non si concretizza in questa lettera.

 

 


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