In un articolo pubblicato su Doppiozero, Giorgia Loschiavo propone un’analisi dei personaggi femminili nel romanzo Jane Eyre, capolavoro della scrittrice inglese Charlotte Brontë.
Nel famoso pezzo comparso sull’Espresso nel giugno 1981 Italiani, vi esorto ai classici, Calvino proponeva quattordici definizioni possibili di ‘classico’. L’ho riletto nel tentativo di sceglierne una che potesse in qualche modo dare forma al mio rapporto con il libro di cui vorrei scrivere, ma sono inciampata già sulla prima: se è vero che «Un classico è un libro di cui si sente dire di solito ‘Sto rileggendo’ e mai ‘Sto leggendo’», precisa Calvino «questo non vale per la gioventù, età in cui l’incontro col mondo, e coi classici come parte del mondo, vale proprio in quanto primo incontro». La tesi dell’autore è in effetti solida, perché più avanti precisa che «le letture di gioventù possono essere poco proficue per impazienza, distrazione, inesperienza delle istruzioni per l’uso, inesperienza della vita». Eppure sono certa che lo spazio di questi miei vent’anni sia già stato attraversato da un modesto numero di libri che definirei ‘classici’ secondo il canone calviniano, tutti letti nella stessa gioventù che continuo ad attraversare e che in qualche modo hanno contribuito a plasmare. Ho letto Jane Eyre all’alba del secondo anno di università, in un novembre piovosissimo in cui le giornate s’inceppavano nei tramonti delle quattro; l’ho rifatto nel tempo del solstizio d’estate, per riavvicinarmi ai sensi che vi avevo cercato, attraversare sottolineature e cercarci dentro spiragli e riverberi, perché «D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima», aggiungeva Calvino, e di ricollocazione, anche, aggiungerei, allo stesso tempo rispetto al sé che ne ha condotto la scoperta e rispetto al testo: d’altronde, definizione numero undici: «Il tuo classico è quello che non può esserti indifferente e ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui».
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.