Un articolo pubblicato su Doppiozero racconta l’amicizia tra due grandi atleti nata alle Olimpiadi di Berlino del 1936: l’afroamericano James Cleveland Owens e il tedesco Carl Ludwig “Luz” Long – quest’ultimo chiamato alle armi dal regime nazista alla fine del 1942 e morto in seguito alle ferite riportate nel corso di una battaglia contro gli angloamericani svoltasi nei pressi di Gela nell’estate del 1943. Prima di morire, Long inviò una drammatica lettera a Owens nella quale lo esortava a recarsi un giorno ad Amburgo per raccontare a suo figlio di suo padre e di quella loro amicizia più forte della guerra. Owens ricevette la lettera solo alla fine dell’estate del 1945, e nel 1951, esaudendo l’ultimo desiderio del compianto amico, raggiunse Amburgo e raccontò tutto ad Aki Long, il figlio di Luz.
Mio caro Hans, ti scrivo questa lettera dalla prigione di Spandau il 10 settembre 1944, tre giorni prima di essere assassinato come i miei amici: Schulenburg, Stauffenberg, Moltke che, come me, hanno preso parte al complotto per uccidere Hitler. Non so se riceverai mai questa lettera.
Mi aiuterebbe in un certo senso a morire; perché affronterei la morte con la coscienza più leggera, sapendo che essa può aiutarti a perdonarmi e a capire perché ho trattato te, l’unico vero amico, che abbia mai avuto e amato, in modo così sleale e vigliacco.
Da Fred Uhlman, L’amico ritrovato (1971)
Gela, Sicilia, 13 luglio 1943
Jesse, amico mio,
qui intorno a me sembra non esserci altro che sabbia, polvere e sangue.
Ho paura, Jesse, ho paura di morire. Non rivedrò più mia moglie e il mio bambino. Non ho fatto quasi in tempo a conoscerlo e lui non avrà nulla da ricordare di suo padre.
Sento che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo.
Se così fosse, una cosa voglio chiederti. A guerra finita – perché prima o poi io spero che tutto questo orrore potrà finire – ti prego di andare un giorno a casa mia, ad Amburgo. Cerca di mio figlio e raccontagli di me, di chi sono stato. E raccontagli della nostra amicizia più forte della guerra.
Il tuo amico Luz
Trovai la lettera nella cassetta della posta molti anni dopo. Era una mattina di settembre, la fine dell’estate del ’45. La lettera era datata 13 luglio 1943. Arrivava a Cleveland, dopo due anni di non so quale giro del mondo, da un posto che non sapevo neppure esistesse, Gela, Sicilia, Italia.
Mi sedetti sul gradino della soglia di casa, l’aprii. Era il mio amico Luz. E capii subito quello che c’era da capire. Quel posto, la Sicilia, l’Italia, erano lontani migliaia e migliaia di chilometri da casa mia, dall’altra parte dell’Oceano. Sapevo cosa era successo laggiù. La guerra. La guerra mondiale. Sapevo che ci aveva combattuto la US Army. Era sbarcata in Sicilia dall’Africa. Molti soldati afroamericani come me erano passati dalla terra dei nostri padri per andare a uccidere e a morire per una guerra lontana. L’Italia, gli italiani. Amici o nemici, in quell’estate del 1943 ancora non si capiva. I tedeschi, sì, lo sapevamo. Loro erano i nemici. Hitler, i nazisti: erano loro ad aver scatenato l’inferno.
Immagine da Gariwo.net
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