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La Conferenza sul futuro dell’Europa è finita: e ora?

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La Conferenza sul futuro dell’Europa ha terminato i suoi lavori, adottando una corposa relazione finale con ben 49 proposte. Il progetto ambiziosissimo è presentato con queste parole:

La conferenza sul futuro dell’Europa offre ai cittadini europei un’occasione unica, giunta al momento opportuno, per ragionare sulle sfide e le priorità dell’Europa. Chiunque, a prescindere dalla provenienza o dall’attività svolta, può utilizzare questo strumento per riflettere sul futuro dell’Unione europea che vorrebbe.

La proposta confezionata da Parlamento e Commissione non è piaciuta a molti stati europei (tredici su ventisette), che considerano modifiche dei trattati premature.

Franco Chittolina su Apiceuropa propone una breve analisi sul documento:

Le proposte della Conferenza mirano a provocare nell‘Unione Europea passi avanti nel processo di integrazione, come richiesti con urgenza dalle vicende in corso, ma che già si imponevano con grande evidenza prima della pandemia e senza che ci fosse bisogno dell’allarme sollevato dalla guerra in Europa.

Non stupisce che tra le priorità individuate ci sia il tema della pace e dell’energia, con quello correlato della salvaguardia dell’ambiente, né che si torni a chiedere più eguaglianza sociale e più capacità di accoglienza di fronte agli inarrestabili flussi migratori.

Andrew Duff su European Policy Centre affronta il tema più spinoso, quello del superamento dell’unanimità:

Sulla scia della Conferenza sul futuro dell’Europa, il Parlamento europeo intende avviare una revisione dei trattati. Le conclusioni della Conferenza sono abbastanza autoesplicative e persino non sorprendenti. Non è uno shock per il sistema che la Conferenza, spinta in larga misura dalla sua componente di cittadini, voglia “più Europa” non meno, o che la sua principale proposta in termini istituzionali sia che il Consiglio abbandoni il veto. Non è necessario essere un militante federalista per rendersi conto che l’Unione europea è danneggiata perché il Consiglio è bloccato in modalità confederale. Nonostante le proteste di lealtà al progetto europeo, i governi nazionali si aggrappano ai veti e rendono il processo decisionale lento, opaco e macchinoso. Le forze euroscettico hanno sempre cercato di resistere alla diffusione ineluttabile di ciò che oggi conosciamo, dal trattato di Lisbona, come la «procedura legislativa ordinaria» – ovvero il voto a maggioranza qualificata (QMV) in Consiglio più codecisione con il Parlamento.


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