A cura di @NedCuttle21(Ulm).
Su Internazionale, Alessandro Calvi riflette sulla crisi di governo italiana proponendo un’analisi dei meccanismi alla base del funzionamento delle democrazie parlamentari.
Si sta per entrare in una giornata impensabile in qualsiasi altro momento della storia repubblicana, essendo ancora ogni ipotesi aperta, perfino le più improbabili, ha osservato Enrico Mentana cominciando la sua maratona televisiva sulla crisi di governo. Nei giorni scorsi, anche giornali e tv avevano ampiamente battuto lo stesso tasto. Insomma, siamo di fronte a una delle crisi politiche più bizzarre di sempre – la più pazza del mondo, si è detto, ed è vero. Eppure, oltre ogni giravolta e più ancora del rimangiarsi oggi quel che era stato detto ieri, in questa confusione estrema c’è una cosa che è difficile da nascondere: se questa è la crisi più pazza del mondo, a guidarla, o quanto meno a provarci, c’è una classe dirigente tra le più inadeguate che questo paese abbia mai conosciuto.
Nel corso di questa crisi, i capi dei partiti non hanno mostrato pudore nel cambiare idea su tutto o quasi quel che avevano sostenuto nei mesi scorsi. Ineffabilmente, e di corsa, si sono ingoiati anni di insulti, di proclami e di pensosissime riflessioni destinate evidentemente anch’esse a durare il tempo di un battito di ciglia, come la coerenza. Tutto ciò, senza neppure dare conto delle ragioni di quel mutamento o almeno di un travaglio interiore. Per questo, ogni cosa è apparsa senz’altro ridicola.
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