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La foresta amazzonica respira, ma non è ancora fuori pericolo

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Andrea Gaiardoni su BoLive, il magazine dell’Università di Padova, fa il punto sullo stato di salute della foresta amazzonica brasiliana.

L’analisi degli ultimi dati disponibili suggerirebbe prudenza, mentre il governo brasiliano festeggia, con una certa enfasi, una notizia che certamente si può catalogare come positiva: la deforestazione dell’Amazzonia, nei primi 6 mesi del governo guidato da Luiz Inàcio Lula da Silva, è diminuita del 33,6% rispetto allo stesso periodo del 2022, quando al Palácio do Planalto, sede ufficiale della Presidenza della Repubblica del Brasile, sedeva l’ultra conservatore Jair Bolsonaro.

E Lula l’aveva promesso esplicitamente alla sua elezione: stop definitivo alla deforestazione e al disboscamento dell’Amazzonia brasiliana entro il 2030. Il risultato è dunque incoraggiante, soprattutto se confrontato con il dato, spaventoso, collezionato dall’ex presidente, che nel quadriennio del suo mandato (2019-2022) ha fatto di tutto per indebolire la legislazione e la governance ambientale del Paese, spingendo la deforestazione a un +75% rispetto alla media del decennio precedente, a tutto vantaggio degli interessi delle multinazionali.

Però sembra ancora presto per cantare vittoria a causa degli interessi delle lobby dell’agrobusiness e di una nuova legge all’esame della Corte Suprema che allarma gli scienziati e suscita la rabbia delle popolazioni indigene: il marco temporal.

Eppure restano ancora interrogativi e molte perplessità sulle reali possibilità che la politica brasiliana raggiunga i risultati promessi. Sostanzialmente per due motivi, al netto dell’enorme peso che la lobby dell’agrobusiness (anche grazie al sostegno dei parlamentari di estrema destra) continua ad avere nel Paese. Primo: quel numero, 2.648 chilometri quadrati di foresta pluviale definitivamente perduti (superiore all’intera superficie del Lussemburgo per avere un metro di paragone) resta comunque un prezzo altissimo che si continua a pagare: bene l’inversione di tendenza, ma guai accontentarsi. Il secondo punto è ancor più preoccupante. E riguarda una legge già approvata a fine maggio dalla Camera dei deputati, controllata dai conservatori (il presidente, Arthur Lira, è un fedelissimo di Bolsonaro), ora all’esame della Corte Suprema brasiliana, e che solo successivamente passerà all’esame del Senato. La legge regola il principio del “marco temporal”, una norma assai gradita dagli “sfruttatori” dell’Amazzonia e assai meno dalle popolazioni indigene, che infatti hanno già inscenato proteste a Brasilia, le ultime dopo il pronunciamento dei parlamentari (che hanno approvato il testo con 283 voti a favore, 156 contrari).

Il marco temporal (limite temporale) introduce il seguente principio: solamente le terre abitate dai popoli indigeni al 5 ottobre 1988, data della promulgazione della Costituzione federale brasiliana, possano essere a loro affidate, senza tener conto degli espropri effettuati dai colonizzatori e dalla dittatura militare.


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