In un’intervista pubblicata su Jacobin Italia, Arantxa Tirado Sánchez riflette sul concetto di lawfare spiegando come questa strategia giudiziaria sia stata spesso utilizzata per ostacolare attivisti e leader di sinistra, in particolar modo in America Latina.
Le immagini dell’assalto alle istituzioni brasiliane dei giorni scorsi da parte di sostenitori di Jair Bolsonaro hanno ricollocato il golpismo di destra come una questione centrale della politica internazionale. Uno dei temi maggiormente affrontati è quello della radicalizzazione di una parte importante della popolazione brasiliana, sempre meno legata ai valori democratici e addirittura propensa a richiedere un intervento militare. Tuttavia, il passaggio che sembra essere dimenticato è quello riguardante la persecuzione giudiziaria che Lula da Silva ha sofferto per anni: 580 giorni di carcere e l’impossibilità di presentarsi alle elezioni del 2018 non per via dell’estremismo delle orde bolsonariste, ma di un piano elaborato da parte di settori conservatori del potere giudiziario, economico e massmediatico. È stato in nome della guerra alla corruzione e al rispetto della legge che Lula è stato rimosso dall’arena politica. E la mobilizzazione e l’aggressività di ampi settori della popolazione nei suoi confronti (al punto di votare un soggetto per anni ai margini della politica come Bolsonaro) mai sarebbero stati possibili senza la campagna denigratoria contro di lui lanciata dai grandi mezzi di comunicazione.
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