Su suggerimento di @AleMeis
Antonio Pascale su Il Foglio propone una riflessione sull’autofiction: con i nuovi mezzi di comunicazione siamo ormai diventati tutti narratori delle nostre storie quotidiane, e di conseguenza la figura del narratore onnisciente è entrata in crisi.
[…] sono arrivati i social e con essi delle novità narrative. Ognuno di noi durante la giornata fa autofiction, ci racconta cosa sta facendo, che cosa prepara per cena, cosa pensa. Ognuno sembra in apparenza autoreferenziale e tuttavia per piccoli eventi contribuisce a formare una narrazione più ampia. Dunque, il ruolo dello scrittore ottocentesco che raccontava le vite delle persone sembra in affanno perché sempre di più ognuno di noi costruisce trame e storie, narrazioni pur minime ma narrazioni.
Per questo – sostiene Pascale – lo scrittore dovrebbe accettare la sfida e mostrarsi nel farsi stesso della sua opera.
Una buona autofiction dovrebbe raccontare di come la vita, il caos, i piccoli e accidentali episodi, i buchi neri della logica e altre cose quotidiane influiscano sullo scrittore attrezzista, e dunque infine sul volo dei suoi personaggi. In una logica evolutiva non possiamo considerare o il creato o il creatore, vanno presi entrambi. Il creatore influenzato dall’ambiente immagina un mondo e il mondo immaginato torna a re/influenzare lo scrittore. Dunque lo scrittore da una parte onestamente dovrebbe raccontare se stesso, senza sconti, con sentimento ma senza la retorica dei sentimenti, dall’altra parte dovrebbe essere capace di collegare gli eventi che lo influenzano con i personaggi da lui creati.
Immagine da Flickr
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