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La rappresentazione dell’altro

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Su Il Tascabile Clara Miranda Scherffig parla del passato e del presente del genere cinematografico dei documentari.

L’undici giugno 1922 Nanook l’eschimese viene proiettato per la prima volta al Capitol Theatre, un cinema su Broadway che negli anni a venire ospiterà anteprime delle produzioni Metro-Goldwyn-Mayer, tra cui il Mago di Oz e 2001 Odissea nello spazio. Lo spazio chiuderà i battenti dopo aver curvato lo schermo per mostrare film come quello di Kubrick, pensati per il formato “cinerama”, poi divenuto obsoleto. Il lungometraggio di Robert J. Flaherty, invece, inaugurerà un genere che gode ancora oggi di grande popolarità: il film documentario. Tradizionalmente considerato il primo esempio del suo tipo, Nanook sarà anche decisivo per lo sviluppo (e messa in crisi) dell’antropologia visiva, quella branca della sociologia che nasce con ambizioni scientifiche ma si ricorda perlopiù per le sue incursioni nel cinema d’autore, da Jean Rouch alle filmografie di cineasti come Vittorio De Seta, Frederick Wiseman o Pedro Costa, fino agli sperimentalismi più recenti come il “cinema tattile” del Sensory Ethnograhy Lab. Il legame con l’etnografia è però importante perché accompagna culturalmente la domanda che nasce insieme al genere cinematografico. Cent’anni di Nanook sono anche cent’anni in cui ci si chiede: cosa implica rappresentare l’altro?


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