Nicole Ticchi per Micron fa una riflessione sull’immagine della scienza e la sua femminilizzazione nella comunicazione e negli approcci narrativi del gender gap.
Uno spot della Comunità Europea del 2012, concepito per incoraggiare le ragazze a intraprendere la carriera scientifica, aveva puntato proprio su questo aspetto: “la scienza è una cosa da ragazze”. Su una passerella illuminata da riflettori con luci colorate, in abiti succinti e su tacchi vertiginosi sfilavano ragazze con fare provocante. A guardarle muoversi, comodo su una sedia, c’era un uomo, in camice davanti ad un microscopio, che aveva tutta l’aria di essere incuriosito e ammaliato da questo spettacolo. Quale fosse l’oggetto dello spettacolo, se la scienza o le ragazze, può essere lasciato all’immaginazione.
Cosa si vedeva sotto la lente di quel microscopio? Glitter, ombretti e rossetti, ovviamente. Che da scienziati e scienziate lo sappiamo, non sono altro che pigmenti, polimeri e grassi sapientemente lavorati per dare luogo a uno dei miracoli della cosmesi moderna. Ma se cambiamo contesto e li guardiamo con un’altra lente, quella del significato sociale, la domanda sorge spontanea: cosa voleva comunicare, esattamente, questo spot? Sono davvero quegli oggetti a rappresentare una donna? E ancora: abbiamo davvero bisogno di questo per attirare la sua attenzione.
Immagine da PxHere
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