A dicembre 2023 si è tenuto il Convegno nazionale di comunicazione della scienza, organizzato dalla Sissa a Trieste.
A questo convegno hanno partecipato, fra gli altri, Fabio Ambrosino, web content editor presso Il Pensiero Scientifico Editore/Think2it e Nicola Bressi, zoologo del museo civico di Storia naturale di Trieste, i quali hanno discusso (qui il video) del modo con cui viene divulgata la scienza nei media, con particolare riguardo alla medicina ed alla biologia.
Il canale online IlBoLive dell’Università di Padova ne parla in un articolo dal titolo La scienza sui media.
Ambrosino, che si occupa principalmente di comunicazione e formazione in ambito medico, dice:
Se c’è una cosa che la pandemia di Covid-19 ha messo ancora più in evidenza è che il ruolo dei media e il modo in cui la scienza, in particolare la ricerca in ambito medico, viene raccontata può fare la differenza in termini di sanità pubblica, influenzando i comportamenti individuali, le scelte dei decisori, la gestione delle risorse
Uno dei problemi che Ambrosino rileva, inoltre, è che spesso i giornalisti, nel comunicare, per esempio, i risultati di una ricerca scientifica su un farmaco, tendono a concentrarsi sui benefici per il singolo paziente o per la società, ma tendono a trascurare i risvolti economici dell’utilizzo di quel nuovo farmaco:
Faccio un esempio: si può dimostrare che un trattamento è particolarmente efficace, addirittura risolutivo ma se quella terapia ha un costo esorbitante, la sua applicazione effettiva può essere più complicata del previsto. Un giornalista dunque ha il dovere di mettere in relazione i risultati della ricerca rispetto a ciò che succede nel mondo reale e raccontare ciò che può effettivamente portare dei benefici ai pazienti, al servizio sanitario e non ad altri stakeholders
Un modo utile, secondo Ambrosino, per limitare gli errori nella comunicazione delle ricerche scientifiche in ambito medico, c’è: sarebbe molto utile che i giornalisti avessero delle basi di metodologia della ricerca e di statistica biomedica e che avessero informazioni chiare su come funzionano i trial clinici. Inoltre, dice che:
È buona norma poi considerare chi finanzia lo studio e dare il giusto peso alle esperienze personali, specie in medicina, dato che serve aggregare dati per giungere a evidenze conclusive.
Lo zoologo Nicola Bressi, poi, aggiunge alcuni aspetti interessanti nella comunicazione in ambito biologico, in particolare di come i meccanismi di negazionismo scientifico emersi durante la pandemia si trovino poi applicati anche in altri ambiti, e ne ipotizza una spiegazione:
Si assiste a una fortissima dicotomia, a una polarizzazione del dibattito, e chi non è favorevole alla scienza usa sempre le stesse argomentazioni: combatte contro i poteri forti, ritiene corrotti gli scienziati, è convinto dell’esistenza di interessi che non vengono palesati, persuaso che tutto avvenga di nascosto.
In particolare Bressi cita gli schieramenti che si verificano ormai costantemente quando si parla di gestione delle specie aliene o di controllo della fauna selvatica:
quando invece si tratta di gestione degli animali la parola viene data quasi sempre ad associazioni animaliste o ambientaliste, ad appassionati e amanti degli animali che portano avanti le loro idee. Non si riportano gli studi scientifici che conducono a determinate decisioni e questo crea nell’opinione pubblica seri problemi di comprensione della gestione faunistica ambientale e del metodo scientifico in generale.
Lo zoologo ricorda che il ruolo del giornalista scientifico è quello di fare domande razionali a chi si occupa della gestione della fauna, e non solo di riportare i fatti.
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