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La sedia turca e la UE

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Era dai tempi del famoso sketch di Clint Eastwood alla convention dei Repubblicani che non si parlava così tanto di una sedia. Forse se ne è parlato troppo: nel dibattito che è seguito alla visita di Ursula von der Leyen e Charles Michel in Turchia sono finiti ai margini un paio di temi piuttosto rilevanti.

Primo. L’enorme fatica che fa l’Unione Europea a inserirsi nelle dinamiche tradizionali della diplomazia. L’Unione Europea è un unicum: nel mondo non esistono altre organizzazioni internazionali così ampie e articolate. E il suo attuale assetto è stato messo a punto meno di trent’anni fa: sono tempi brevissimi per la storia dei rapporti diplomatici, che in questa parte di mondo è iniziata tremila anni fa e incide ancora sui meccanismi di rappresentanza e convivenza fra le nazioni.

In altre parole: la confusione intorno all’Unione Europea è tale – e non riguarda solo chi non la conosce, come Donald Trump – che forse non era il caso di alimentarla, inviando in Turchia due presidenti a rappresentare l’Unione: sono ambiguità che lasciano lo spazio per simboliche (e sessiste, ovviamente) dimostrazioni di forza, come il gesto di Recep Tayyip Erdoğan di preparare solo una sedia.

Secondo. È bastato pochissimo perché emergesse il conflitto latente che coinvolge la Commissione e il Consiglio Europeo, due organi che rappresentano facce diverse dell’Unione Europea, e che non si sono nemmeno coordinati nella reazione all’incidente della sedia: la Commissione ha dato subito la colpa al Consiglio, che a sua volta prima ha fatto trapelare di avere semplicemente rispettato il protocollo, poi ha cambiato posizione nel giro di un giorno.

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