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L’Anticristo di Joseph Roth

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Su Doppiozero, Marino Freschi ci parla di un saggio visionario e profetico dello scrittore e giornalista austriaco Joseph Roth (1894 – 1939) pubblicato nel 1934: L’Anticristo.

«Viva l’Anticroce! Heil das Antikreuz!» esclama paradossalmente Joseph Roth (1894-1939), l’estremo, disperato aedo della Mitteleuropa, ebreo di lingua tedesca, ribelle, ma anche di sentimenti asburgici, straordinario rievocatore della Finis Austriae con un capolavoro assoluto, La Marcia di Radetzky del 1932. Già nel gennaio 1933, immediatamente a ridosso dell’ascesa al potere dei nazisti, Roth, benché cittadino austriaco, lascia la Germania per la repulsione che prova per i nuovi sadici dominatori, brutali antisemiti e antidemocratici. Anni brevi dell’emigrazione, fino alla precoce morte, per alcolismo, a Parigi il 27 maggio 1939, ricoverato per un collasso nell’ospedale sbagliato, dopo aver appreso, con sgomento, che Ernst Toller si era suicidato a New York il 22 maggio. Nel 1934 pubblica il suo libro più strano, L’Anticristo, ora edito da Castelvecchi, con la prefazione di Claudio Magris, l’introduzione di Flavia Arzeni, perfettamente tradotto da Cristina Guarnieri.

Roth è sempre quel raffinato narratore che aveva saputo scavare nelle pieghe più riposte del piccolo borghese mitteleuropeo, raffigurandone la modestia spirituale, l’ipocrisia sociale, l’altezzosa arroganza verso i subalterni, la sadica crudeltà verso i deboli e i diversi. Ed è proprio nella figura del piccolo borghese che Roth, nel suo saggio visionario, scopre le sembianze dell’Anticristo che sono quelle dei tanti mediocri capi nazisti, come quelli raffigurati da Klaus Mann in Mephisto. Gerarchi di seguaci invasati da una mania fanatica, come mostrava l’energia sprigionata dai discorsi del nuovo Führer, fino a pochi anni prima l’‘imbianchino” di Braunau, il modesto “caporale austriaco”. Ciò che solo Roth aveva compreso era la natura veramente diabolica dell’accecamento delle masse di fronte al Führer, una figura dell’Anticristo.

 


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