A cura di @Ergosfera e @NedCuttle21(Ulm).
In un articolo pubblicato su Il Tascabile, Simone Benazzo e Martina Napolitano parlano della prima ondata di Red Scare che interessò gli Stati Uniti subito dopo la fine della Grande Guerra, quando, in un clima già abbastanza teso e conflittuale – dovuto, da un lato, alle condizioni di vita dei lavoratori e, dall’altro, alla crescente preoccupazione per la diffusione di quelle idee che avevano ispirato la Rivoluzione d’Ottobre -, la classe operaia cominciò a scioperare, paralizzando intere città:
[…] Nel solo 1919 furono più di tremila gli scioperi in tutto il paese, circa quattro milioni le persone coinvolte. Con lo sciopero generale di Seattle di febbraio, capace di portare in strada 65.000 lavoratori e paralizzare la città per cinque giorni, la classe operaia organizzata dai sindacati aveva lanciato un segnale chiaro a padroni e proprietari: i tempi stavano cambiando. Le proteste si impennarono soprattutto in estate e autunno, portando così a intensificare anche le repressioni e i controlli della polizia. I giornali dell’epoca infuocavano gli animi, accusando i “radicali” di sognare di metter fine alla democrazia americana e inaugurare la dittatura del proletariato. Un decennio prima, nel 1910, il distretto di Milwaukee aveva addirittura eletto al Congresso il primo socialista, Victor Berger, consacratosi da subito a cause eretiche come la nazionalizzazione del sistema radiofonico e l’introduzione di una pensione di quattro dollari per i meno abbienti. In un’America dove il lavoro minorile era ancora pienamente legale, sentir risuonare queste proposte tra le mura del massimo organismo legislativo federale era blasfemia pura
Immagine da Wikimedia.
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