Uno studio della della casa automobilistica Volvo ha messo a confronto modelli simili di auto elettrica con quelli a benzina.
Il report del costruttore tiene conto delle emissioni generate durante la fase produttiva – la spina nel fianco delle auto elettriche, che arrivano sul mercato con un “debito” molto elevato di CO2 da recuperare rispetto alle termiche/ibride, assai meno impattanti in fase di assemblaggio; la stessa Volvo sostiene: “La produzione e la raffinazione dei materiali, l’assemblaggio e la produzione di moduli batteria di una C40 Recharge si traducono in emissioni di gas serra di quasi il 70% superiori rispetto a quelle generate durante la costruzione di una XC40 a benzina” – e di quelle che derivano dall’utilizzo ricaricando con elettricità europea (il mix di fonti europeo per la produzione di elettricità, come detto, è il più pulito al mondo).
In sostanza, i dati di Volvo indicano che la XC40 Recharge, cioè quella elettrica, deve percorrere circa 80 mila chilometri prima di iniziare a dare reali benefici in termini di risparmio di CO2 emessa rispetto alla XC40 termica.
Tuttavia, se ci si basa sul mix di fonti mondiale per la produzione di elettricità (che è meno green di quello europeo), allora il chilometraggio dopo cui l’auto elettrica ha un saldo di CO2 più sostenibile rispetto alla termica sale a 115.000 km
Vale la pena sottolineare che tutto quanto sopra esposto vale per l’Europa o, al massimo, se si tiene conto del mix globale di fonti energetiche. Ma nel resto del mondo e specialmente in Cina, primo mercato automobilistico globale e primo per penetrazione di veicoli elettrici – e dove produrre 1 kWh di energia elettrica comporta l’emissione di una quantità di CO2 più che doppia rispetto a quanto avviene in Europa – i punti di pareggio chilometrico diventano di fatto irraggiungibili, col risultato che l’elettrica nel corso della sua vita finisce per inquinare più della termica (e dall’Asia arriva la maggior parte delle batterie delle vetture elettriche).
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