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Le proteste in Kazakistan rappresentano il fallimento del modello di Stato “rentieristico”

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Cosimo Graziani, studioso dei paesi dell’Asia Centrale spiega sul Caffé Geopolitico perché a partire dal 2 gennaio, un’ondata di proteste ha sconvolto il Kazakistan.  Un evento mai visto prima a quelle latitudini. Alla radice il malcontento della popolazione per la redistribuzione dei proventi del gas e del petrolio.

La popolazione è stanca del fatto che il Paese, nonostante i proventi della vendita del petrolio e del gas, non si sia sviluppato in maniera adeguata e omogenea. Molte zone sono arretrate sotto ogni aspetto: infrastrutture, accesso al lavoro, sicurezza umana perché i proventi della vendita di fonti energetiche è rimasta in mani a pochi. È la crisi dello Stato “rentieristico” inteso dall’economista Giacomo Luciani negli anni ‘80: uno Stato che fa affidamento su una fonte economica non prodotta, bensì sfruttata, per la sua sopravvivenza; non si tratta di uno Stato produttore, bensì “allocatore”. Se riesce ad allocare in maniera appropriata i proventi, la popolazione avrà delle aspettative e delle pretese politiche basse, un vero e proprio patto sociale basato sullo sfruttamento delle risorse. Le proteste in Kazakistan partono dal fatto che il patto sociale è venuto meno a causa del limitato sviluppo economico che i manifestanti denunciano in queste ore chiedendo a gran voce il superamento del sistema politico che si reggeva su questo patto.

E per quanto riguarda la Russia?

La domanda che alcuni si sono posti in queste ore è se la Russia potrebbe approfittare della crisi per annettersi le regioni settentrionali, ancora oggi abitate da una maggioranza russa. La risposta è no. La Russia aiuterà il regime kazako a riportare l’ordine in quanto non può permettersi di avere una crisi politica in un momento come questo, in cui sta affrontando gli Stati Uniti sul dossier ucraino


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