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L’informazione e il racconto delle guerre

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Su Valigia Blu Enrico De Angelis riflette sul modo in cui i nostri media raccontano la tragedia di Gaza e sul senso di frustrazione di fronte a quella che l’autore definisce normalizzazione dell’intollerabile.

Ogni giorno ci svegliamo con un nuovo bollettino di morte e distruzione sistematica. Uno stillicidio che continua da un anno almeno. Il tentativo di restare al passo con gli eventi e condividere questi aggiornamenti con il mondo non solo è emotivamente logorante, ma crea anche un effetto di dissonanza cognitiva, perché siamo costretti ad accettare la negazione, la finzione di normalità e la mancanza di empatia di una parte consistente del mondo.

Pur trattandosi di un genere di frustrazione probabilmente già sperimentato da chi ha a cuore altre cause o si occupa di narrare altri conflitti, c’è un cortocircuito inedito nel modo in cui la sofferenza degli “altri” è comunicata, condivisa e vissuta di fronte alla violenza radicale che Israele ha imposto a Gaza (e ora in Libano) nell’ultimo anno.

Questa è una raccolta di appunti, che cercano di dare un senso a questa continua frustrazione e alla sensazione di impotenza che molti di noi sperimentano in questo periodo. Sulla base del modo in cui alcuni mediattivisti e studiosi di comunicazione hanno descritto la loro esperienza, e naturalmente sulla base della mia stessa esperienza, ho identificato quattro “anomalie” che possono contribuire a spiegare almeno parzialmente questo cortocircuito. Non rappresentano necessariamente fenomeni nuovi. In un certo senso, sono forse la prosecuzione naturale di processi che erano in atto da tempo. A ogni modo, non c’è dubbio che stiamo vivendo in un’epoca in cui qualsiasi parvenza di normalità è crollata.


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