Nel 1860, dopo la Seconda Guerra dell’Oppio, la Cina venne costretta a cedere territori a diverse potenze straniere, per facilitare il commercio e permettere ai governi stranieri di esercitare la loro influenza politica sul paese.
In particolare a Tianjin (Tientsin nei documenti occidentali dell’epoca), centro portuale di circa 200mila abitanti non distante da Pechino, vennero create delle “concessioni”, che garantivano per mezzo di contratti a lungo termine il pieno controllo su interi quartieri da parte delle potenze coloniali.
Da principio la presenza fu permessa solo a Regno Unito, Francia e USA (direttamente coinvolte nella Seconda Guerra dell’Oppio e per questo firmatarie del Trattato di Tientsin), ma successivamente, anche come conseguenza delle imprese coloniali promosse da Guglielmo II di Germania, prese vita la cosiddetta Scramble for China, cioè la corsa a ottenere nuove concessioni.
In conseguenza di ciò, si aprirono a Tianjin la concessione giapponese (concessa nel 1895, dopo la vittoria del Giappone nella Prima Guerra Sino-Giapponese per espandere l’influenza giapponese in Cina), quella tedesca (nel 1896, come risultato delle pressioni diplomatiche della Germania per ottenere vantaggi commerciali e strategici) e la concessione russa (1896, in seguito anche alla crescente influenza della Russia in Manciuria e alla sua espansione ferroviaria). Dopo la rivolta dei Boxer, nel 1902, vennero create tre nuove zone, una italiana, una belga e una austro-ungarica.
Le concessioni terminarono ufficialmente con la Seconda Guerra Mondiale, quando il governo nazionalista cinese annullò i trattati che le avevano create.
Qui un breve video che racconta la storia della minuscola colonia italiana:
Anche wikipedia racconta questa storia e attesta una popolazione di 110 italiani civili nel 1935. Altre fonti arrivano a una stima di 392 italiani in altri periodi.
Il giornalista americano John Hersey (noto soprattutto per il suo racconto dei sopravvissuti al bombardamento atomico di Hiroshima) nacque a Tanjin e della sua città natale scrisse:
What a weird city I grew up in. For three or four Chinese coppers, I could ride in a rickshaw from my home, in England, to Italy, Germany, Japan, or Belgium. I walked to France for violin lessons; I had to cross the river to get to Russia, and often did, because the Russians had a beautiful wooded park with a lake in it.
Per parlare di questa realtà lo studioso Maurizio Marinelli scomoda il termine eterotopia, utilizzato da Michel Foucault per riferirsi a spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano. Il termine iper-colonia è invece stato utilizzato dalla storica Ruth Rogaski per parlare di Tianjin.
E oggi, cosa rimane?
Sarebbe giustificato il sospetto che lo zelo della Rivoluzione Culturale avesse cancellato ogni traccia del passato coloniale. In realtà, dal punto di vista architettonico, molto è stato conservato. Inizialmente a salvare gli edifici è stata la loro utilità pratica. Successivamente, con l’affievolirsi del rigore ideologico, l’eredità coloniale è stata vista sempre più come parte integrante di un paesaggio urbano progressivamente rinnovato, con risvolti positivi anche per il turismo.
La concessione italiana è stata ribattezzata Yishifengqingqu (意式风情区), cioè “zona in stile italiano”.
In uno dei tanti video girati con un drone si possono riconoscere ancora le architetture occidentali della zona centrale, che però quasi scompaiono nella prospettiva dei grattacieli moderni (Tianjin ha oggi 14 milioni di abitanti).
Qui una sommaria storia delle diverse concessioni.
Di seguito i link a due gallerie fotografiche, ricche di immagini ma povere di didascalie:
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