Andrea Cittadini su Il Giornale di Brescia racconta una vicenda di violenza coniugale e gli sviluppi in tribunale (€ — sullo stesso tema Il Fatto Quotidinao).
La storia di prevaricazione giunta fino al Tribunale di Brescia parte da lontano. Una coppia sposata con un matrimonio combinato nel Bangladesh (la sposa venduta per 5.000€), trasferitasi poi in Italia. Qui iniziano le violenze e prevaricazioni del marito, che portano ad aprire un caso nel 2019 dove la procura presenta richiesta di archiviazione (archiviazione negata, il GIP disporrà l’imputazione coatta).
A processo, il Pubblico Ministero chiede l’assoluzione del coniuge: «i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia della medesima». Per l’accusa quindi il marito e le sue prevaricazioni sono plasmate dal’ambiente dove è cresciuto: «(L)a disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva perfino accettato in origine». Concetti che sono fermamente rifiutati dalla moglie: «La cultura di origine non può essere una scusa. Sono stata trattata da schiava».
Le parole della richiesta di assoluzione hanno provocato sdegno in molti politici ed opinionisti: il commento di Annalisa Cuzzocrea, giornalista progressista (prima a La Repubblica e oggi a La Stampa), Se un giudice dice: puoi picchiare tua moglie. Dello stesso avviso Susanna Donatella Campione (FdI, Commissione femminicidio): «Non è accettabile che al Tribunale di Brescia il pm chieda il proscioglimento dell’imputato, sul presupposto che i soprusi perpetrati siano motivati dalla cultura del soggetto in questione.»
Il processo si concluderà ad ottobre.
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