Mattia Marasti su Valigia Blu spiega la riforma del Reddito di Cittadinanza.
Questa non è la prima volta che si mette mano a misure di sostegno alla povertà in Italia. La storia del reddito minimo garantito nel nostro paese comincia addirittura negli anni ‘90, con il Reddito Minimo d’Inserimento voluto dall’allora governo di centrosinistra. In una prima fase nel biennio 1999-2000 era destinato a 39 comuni, esteso poi a 306 nei tre anni successivi. Il successivo governo guidato da Silvio Berlusconi smantella il Reddito Minimo d’Inserimento per varare un Reddito di Ultima Istanza che però non vedrà mai la luce. Si introducono però bonus più circoscritti per le famiglie meno abbienti.
Nel 2016 è la volta del Sostegno per l’Inclusione Attiva, con uno stanziamento di un miliardo di euro l’anno. Il trasferimento è destinato a famiglie in condizione di povertà in cui è presente o un membro minorenne o un membro disabile. Il beneficio però era vincolato a progetto personale di attivazione sociale e lavorativa: quindi corsi di formazione, ricerca attiva del lavoro, prevenzione e tutela della salute. Il provvedimento mirava quindi a superare la condizione d’indigenza dei destinatari.
Le risorse, però, non sono abbastanza. Quindi, anche per rincorrere i Cinque Stelle dal punto di vista elettorale, il governo di centrosinistra presieduto da Paolo Gentiloni vara il Reddito d’Inclusione (REI), con uno stanziamento di 3 miliardi all’anno. Pur avendo aumentato la soglia ISEE per rientrare nei criteri, anche il REI rappresentava uno strumento limitato per il contrasto alla povertà. Secondo i dati, infatti, l’importo massimo di trasferimento mensile per una singola persona era di 187 euro, 294 euro per coppia, 382 euro per tre persone, 461 euro per quattro persone: non abbastanza per una tutela dignitosa, anzi.
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