A cura di @NedCuttle21(Ulm).
In un articolo autobiografico pubblicato su Rivista Studio, la scrittrice romana Veronica Raimo racconta la sua passione per i bar.
L’indirizzo a cui mi faccio spedire i libri da recensire dalle case editrici è quello di un bar. Un bar di «compagni veri», come l’ho sentito definire da più di una persona, nato da un peculiare cortocircuito nel normale processo di gentrificazione: prima al suo posto c’era un negozio fichetto di biciclette a scatto fisso. Si tratta dell’equivalente in formato bar di un centro sociale, dentro ci trovi universitari che hanno appena scoperto Foucault, ragazze che hanno appena scoperto Il secondo sesso, cinquantenni esuli da rivoluzioni eternamente immanenti e mai davvero deluse, operai in tuta da lavoro, anche se non so esattamente dove operino visto che non ci sono fabbriche nelle vicinanze, e spesso due barboni che si fanno offrire da bere e si appisolano su un divano sfondato che non avanza pretese di bohème nella propria usura.
Immagine da pixabay.
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