A cura di @Perodatrent.
Il Guardian pubblic un’analisi a opera di Sheri Berman dei rapporti tra la vittoria di Trump e la sconfitta della politica dell’identità portata avanti dal Partito Democratico americano.
Partendo dalle nozioni di “razzismo” e “intolleranza” cui sono abitualmente riferiti i comportamenti di chi ha votato Trump, l’analisi spiega come le credenze che sono alla base dei nostri comportamenti, anche quelli “deplorable”, non sono sempre attive, ma sono latenti ed attivabili da uno stimolo esterno. In questo caso, da una percepita minaccia del proprio gruppo.
Trump’s stress on themes like growing immigration, the power of minorities and the rise of China highlighted status threats and fears particularly among whites without a college education, prompting a “defensive reaction” that was the most important factor in his election. This “defensive reaction” also explains why Trump’s post-election racist, xenophobic and sexist statements and reversal of traditional Republican positions on trade and other issues have helped him – they keep threats to whites front and center, provoking anger, fear and a strong desire to protect their own group.
Come mai proprio ora queste reazioni sono risultate attivabili così facilmente da Trump?
La spiegazione proposta è questa: sebbene le divergenze religiose e razziali siano state presenti per lungo tempo nella storia americana, è solo da pochi anni che si sono separate lungo la divisione politica. In precedenza, sia Repubblicani che Democratici attraevano persone con identità (razziali, religiose, ideologiche e regionali) differenti. Gradualmente i Repubblicani sono diventati il partito degli elettori bianchi, evangelici, conservatori e rurali, mentre i Democratici sono diventati il partito dei non-bianchi, non evangelici, liberali e urbani.
Questo riallineamento delle identità cambia le poste delle elezioni: prima, se il vostro partito perdeva, le altre parti della vostra identità non erano minacciate, ma perdere oggi significa subire un colpo alle vostre identità razziali, religiose, regionali ed ideologiche.
Una volta che l’altro partito diventa un nemico invece che un avversario, la vittoria diventa più importante del bene comune, e il compromesso diventa un anatema. In questa situazione, hanno il sopravvento valutazioni emozionali piuttosto che razionali.
Cosa implica per quelli che si oppongono a Trump? Se l’obiettivo a breve termine è vincere le elezioni, secondo la Berman occorre impedire che Trump possa fare leva sulla percezione di una minaccia nei confronti del gruppo a cui appartiene l’elettore. In particolare, sarebbe da evitare quel tipo di “politica dell’identità” che pone l’attenzione sulle differenze e, invece, enfatizzare valori ed interessi comuni a più settori dell’elettorato.
Immagine da Wikimedia.
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