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«I politici passano, noi restiamo» L’alta burocrazia e il governo

1 commento

Su suggerimento di @HugoFiala.

Carlo Deodato pone il problema della collaborazione fra il governo e l’élite amministrativa.

Questo modello di collaborazione viene ordinariamente utilizzato per il governo delle società più complesse, nelle quali tecnica e politica sono “costrette” a stipulare intese e a stringere alleanze di cooperazione.
L’Esecutivo in carica ha, tuttavia, interrotto questa prassi, consegnandoci un’inedita situazione di scollamento tra classe politica e classe dirigente.
La classe politica governante (composta, per la prima volta, da pochissime persone) ha, infatti, manifestato chiaramente l’intendimento di trascurare la tradizionale collaborazione dell’élite amministrativa e di preferire un’assunzione diretta ed esclusiva delle responsabilità decisionali, nel sottinteso presupposto che la partecipazione della classe dirigente all’azione di governo potesse rallentare o (addirittura) ostacolare il processo di cambiamento fortemente voluto dall’Esecutivo in carica ed indirizzato (tra l’altro) proprio a una profonda revisione dell’ordinamento delle amministrazioni e delle giurisdizioni che tradizionalmente esprimono l’élite estromessa dalle decisioni.

Alfio Squillaci, su Gli Stati Generali, integra e commenta l’articolo precedente con alcune osservazioni sul tipo di dirigenti amministrativi presenti oggi in Italia.

In Italia è venuta a mancare una élite amministrativa forte e anche socialmente riconosciuta, quella che i francesi chiamano «noblesse d’État» e che ha una tradizione risalente a molto prima della fondazione dell’ENA (Scuola di amministrazione), ai tempi del Ministro di Luigi XIV Colbert. Abbiamo clonato lo Stato italiano su quello francese, ma abbiamo rinunciato all’edificazione di una classe dirigente amministrativa stabile, ben selezionata e ben preparata, fedele allo Stato più che ai Governi, di modo che chiunque una volta entrato nella stanza dei bottoni possa dire, come Napoleone « L’intendance suivra ». Da noi succede invece che il politico spesso giunga «nudo alla meta» o che, quando entra nella stanza dei bottoni, scopra che non ci sono bottoni come diceva Nenni, perché avendo rinunciato l’Italia a una élite statale istituzionale – e ciò per diverse ragioni, non ultima per il fatto che la classe politica repubblicana soprattutto ha sempre voluto gli apparati deboli per meglio manovrare le clientele e i voti -, i veri bottoni del potere siano fuori dal Palazzo, nelle mani di piccole mafie e camarille ovvero degli «organigrammi informali» spesso costituiti da poteri occulti (massonerie) o impropri (sindacati) ma anche più modestamente da piccole bande di faccendieri e dalle eterne cricche parentali che si muovono sempre sottotraccia.

Immagine by transmediale [CC BY-NC-SA 2.0] via Flickr.


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