Giovanni Vale su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa parla della diatriba Prosecco/Prošek riguardo alla decisione della Commissione europea di garantire a quest’ultimo la «menzione tradizionale».
Vale parte dalla storia dei due vini (che hanno radici comuni in un vino liquoroso risalente alla Serenissima) e alla «biforcazione» che avviene nel 1821: in quell’anno, a Trieste, un viticoltore francese procede alla «spumantizzazione» del Prosecco, prodotto effervescente dal gusto meno dolce che si diffonderà in tutto il triveneto. Il Prošek invece non si adatta alle tendenze dell’epoca e rimane un «fossile enologico».
Il presidente del consorzio vini della Dalmazia Leo Garcin spiega che il Prošek è un vino di nicchia: lo si beve raramente, fa capolino in qualche preparazione culinaria, non esporta una sola bottiglia fuori dalla Croazia. Secondo Garcin trovare un accordo con i produttori italiani sarà semplice.
Meno accomodante Tonino Picula, eurodeputato del S&D, che ricorda ne numerose «vittorie» croate e slovene nella tutela dei propri prodotti e non trova alcun appiglio per parlare di confusione, viste le caratteristiche enologiche diverse dei due vini.
Vale spiega che il processo legale vede la posizione croata rafforzarsi, ma non è ancora concluso. Citando le parole Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski:
“Non c’è ancora la parola fine”, anche se dalle analisi dell’esecutivo europeo “è emerso che non ci sono motivi per rifiutare la richiesta croata”. Una cosa però è ammettere la domanda, l’altra è rispondere nel merito della menzione tradizionale che andrebbe introdotta. “Ho ascoltato molte considerazioni da parte dell’Italia, del ministro [dell’Agricoltura, ndr.] Patuanelli e delle Regioni. La questione del Prosecco è molto specifica e seria. Considererò in modo molto serio le obiezioni dell’Italia”, ha concluso Wojciechowski.
Immagine: Sinf1226, Ditirambo al Prosecco di Valeriano Canati.
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