Alessio Giacometti su Il Tascabile scrive una riflessione su una domanda che forse non vogliamo porci troppo: se è vero che nel futuro farà più caldo, quando farà troppo caldo per vivere? E il pur necessario ricorso alla climatizzazione degli ambienti nasconde problemi?
Secondo l’organizzazione no-profit Union of Concerned Scientists è giunto il tempo che la narrativa dominante che accompagna l’estate venga ribaltata da stagione glamour di vacanze in bikini, emancipazione e turismo di massa, a danger season in cui anche le più normali attività come camminare o lavorare all’aperto potrebbero risultare fatali. Ormai radicato nell’immaginario, il pregiudizio positivo e incrollabile con cui aspettiamo l’arrivo dell’estate ci impedisce di cogliere appieno i rischi della stagione calda, che sarà sempre più spesso funestata da ondate di calore, incendi e altri fenomeni metereologici estremi. Peggio: il mito dell’estate come stagione prediletta e desiderabile potrebbe far credere a molti che un clima che si scalda non sia in fondo poi così male – non fosse altro che, per via dell’eccesso di calore, si calcola muoiano globalmente già oltre 350 mila persone ogni anno.
L’uso dei condizionatori scalda da solo l’ambiente urbano fino a 2° C in più, e sempre da solo produce emissioni che entro la fine del secolo scalderanno la temperatura media terrestre di mezzo grado. Come raffreddare le persone e gli ambienti in cui vivono senza aumentare ulteriormente la febbre pianeta? Siamo così sorpresi dalla velocità dei cambiamenti climatici in atto che confondiamo la causa del problema con la sua soluzione. “Una delle grandi ironie del cambiamento climatico”, ha fatto notare al riguardo Emily Underwood su Scientific American, “è che via via che il pianeta si scalda, la tecnologia che serve alle persone per rimanere al fresco può rendere il clima solo più caldo”. Rimanere lucidi non è facile e sarà dura venirne a capo: per risolvere una difficoltà immediata, rischiamo di aggravare i problemi futuri.
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