Un articolo di Simone Pieranni su l’Espresso ci illustra il cambiamento tecnologico e culturale cinese sotto la lente distopica del cyberpunk che tanto è tornata in di moda negli ultimi anni dato il legame a doppio filo con il revival degli anni ’80 a cui il genere è legato.
in dalla pubblicazione di “Paradiso e Ferro” di Miles J. Breuer nel 1930, passando per Isaac Asimov, Arthur C. Clarke, fino ad arrivare alla popolare serie televisiva “Supercar”, le auto a guida autonoma sono sempre state un elemento imprescindibile nell’immaginazione di futuri ipertecnologici. Una caratteristica non solo della fantascienza, si pensi al film “Duel”, o a “Christine la macchina infernale” di Stephen King, che oggi pare sia diventata realtà in Cina: nelle scorse settimane, da Pechino è giunta la notizia della sperimentazione delle auto a guida autonoma di “livello 5”, ovvero il più alto possibile, quello che non richiede alcun umano presente all’interno dei veicoli per assicurarsi che l’algoritmo alla guida sia in grado di processare tutti i dati in maniera corretta.
Quello delle “driverless car” è solo l’ultimo dei tanti tratti “futuristici” della Cina attuale. E poiché questa capacità cinese di realizzare i sogni di generazioni di scrittori che hanno immaginato altri mondi va di pari passo con altri aspetti del futuro ben più inquietanti e distopici, in Cina non poteva che tornare di moda il cyberpunk, quella corrente letteraria sviluppatasi durante gli anni ’80 che prefigurava un mondo determinato dalla rilevanza assunta da tecnologia, connessioni, reti (è William Gibson in “Neuromante” a usare per la prima volta il termine cyberspace) e inquadrato in contesti politici e sociali dilaniati, devastati dagli scontri per accaparrarsi dati, informazioni, brevetti, ricchezze, mentre un’umanità mendicante di diritti, denaro e soluzioni per sopravvivere trascorre la propria esistenza fagocitata da città ipertecnologiche ma oscure e decadenti.
Immagine da Wikimedia.
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