A cura di @Nedcuttle21(Ulm)
In un lungo reportage pubblicato su Internazionale, Christian Raimo, ripercorrendone prima la genesi, analizza l’organizzazione interna, i riferimenti culturali e, specialmente, la notevole capacità di fare proselitismo tra i più giovani delle varie organizzazioni italiane della destra estrema, occupandosi in particolare di quelle attive nella capitale. Un viaggio esplicativo tra rivelatrici interviste ai militanti e analisi socio-antropologiche realizzate da alcuni studiosi del fenomeno, che si chiude con la descrizione di Simmachia, un nuovo movimento post-ideologico – “né di destra né di sinistra” – radicato soprattutto nei licei capitolini:
“Io sono fascista”, dice un ragazzino di tredici anni che va in terza media. “Pure io sono fascista”, dice il suo amico. “Anche io, siamo tutti fascisti”, gli fa eco un altro. È settembre, hanno appena cominciato la scuola, alcuni sono già in prima liceo, altri alle medie. Le giornate in classe sono brevi, il sole permette di girare in maglietta e calzoncini, e piazza Cavour, a Roma, è il luogo dove ci si ritrova appena usciti da scuola, o dopo pranzo, o all’ora dell’aperitivo, o appena finita la cena.
Ventenni, diciottenni, sedicenni, tredicenni, appoggiati alle panchine o agli scalini sul retro del palazzo di giustizia detto Palazzaccio, divisi in comitive per età. I più grandi hanno le facce ingrugnite, i caschi in mano con gli adesivi dei gruppi politici o della tifoseria, sbuffano per dire che non parlano con i giornalisti, ogni tanto provano delle mosse di arti marziali. I più piccoli si rincorrono per la piazza, cercano modelli, un gruppo, un’identità in cui sia facile riconoscersi.
Immagine da Wikimedia.
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