Mario Seminerio sul suo blog Phastidio parla di salari, inflazione e situazione economica.
Ieri l’Ocse ha pubblicato il suo Employment Outlook 2023. In pillole, da esso si evince che il mercato del lavoro dei paesi che appartengono all’organizzazione internazionale è rimasto piuttosto “stretto”, anche se l’economia ha rallentato in modo sostanziale dal 2021. L’occupazione ha pienamente recuperato la crisi del Covid-19 e la disoccupazione è ai minimi da inizio anni 70, cosa che rende nervose le banche centrali, anche se al momento non si osservano segni rilevanti di una spirale prezzi-salari, a parte che in Regno Unito.
Il punto dolente di quello che appare un quadro in complesso confortante, visto quello che il mondo sta attraversando da ormai quattro anni, è che i salari reali non hanno tenuto il passo dell’inflazione, cioè si sono ridotti.
Seminerio non pensa che la soluzione a questo problema di “ritardo” dei salari sia il salario minimo.
Che cosa ci dice, tutto ciò? Un paio di cose: in primo luogo, che osservare i soli salari reali fornisce solo una faccia della medaglia. Osservare salari e profitti unitari ci dice come sono andati capitale e lavoro, nell’arco di tempo considerato. In Italia c’è stato equilibrio, quindi nessuna “predazione capitalistica” a danno del lavoro. Lo dice l’Ocse, non il sottoscritto. Qualcosa su cui riflettere, voi che dite?
Veniamo alle geremiadi di politica e commentatori sulla perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni. Che esiste, ci mancherebbe. Ma non è il prodotto di sfruttamento capitalistico, dicono i numeri. Riguardo alle lamentazioni più ricorrenti: i contratti collettivi italiani sono rinnovati con ritardi enormi, e la perdita di potere d’acquisto ne è amplificata. Occhio a identificare correttamente causa ed effetto, però.
La soluzione sarebbe decentralizzare la contrattazione collettiva:
Che fare, quindi? A me verrebbe in mente che forse, ma solo forse, servirebbe decentrare la contrattazione collettiva a livello aziendale e territoriale. In tal modo, si otterrebbe maggiore aderenza e reattività della contrattazione agli sviluppi specifici della produttività. Basta questo? Ovviamente no. Serve anche un salario minimo, a sua volta diversificato, che funga da puntello a contrattazione decentrata e tutela dei lavoratori. Da anni continuo a pensare che il salario minimo sia funzionale al decentramento aziendale e territoriale della contrattazione collettiva, e che applicarlo a contratti nazionali crei più problemi di quanti ne risolva.
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